Chi mi conosce sa che farei qualunque cosa per una buona storia. Compreso: rubarla. Quella che vi racconto oggi è una storia rubata. Spero che il protagonista non se la prenda solo perché gliela ho rubata… senza dirglielo. E spero non se la prenda per le inevitabili imprecisioni e per le non meno inevitabili licenze poetiche. Comunque, almeno secondo me, è una storia bellissima che meritava di essere raccontata (e, dunque, rubata).
È la storia di un ragazzo nato per caso in una cittadina della Bassa e destinato a crescere a Milano, ma che per le bizze della salute e della medicina ha passato alcuni anni in una valle della bergamasca. Giunto però il momento di frequentare la scuola superiore, il ragazzo tornò finalmente a Milano e proprio qui inizia la nostra storia.
La Milano del 1960 porta ancora i segni della guerra e lo sviluppo che procede a tappe forzate non ha cancellato l’aria di paese e l’odore di povertà nei cortili delle case. Io me lo immagino, a tredici anni, con i pantaloni corti e i capelli ancora più corti, con le orecchie leggermente a sventola che vibrano nel vento mentre pedala sulla bici nuova, troppo grande nonostante le gambe lunghe lunghe. Nell’aria ferma della fine dell’estate esplora la città che per gli anni successivi lo ospiterà. Girando tra le vie semi-deserte si imbatte in un carrello che trasporta due macchine da corsa, la sua passione. Lo segue quasi di nascosto e arriva in un cortile, subito di là dal ponte che scavalca quel che resta del fiume Olona. Nel cortile, un’officina. Nell’officina un meccanico che traffica intorno a un motore.
Il meccanico è Angelo Dagrada, classe 1912, costruttore artigianale di auto da corsa. Angelo ha costruito le sue prime macchine nell’immediato dopoguerra, riscontrando subito un certo successo e guadagnandosi la fama di mago della velocità. Nel 1958, dopo la pausa impostasi un po’ in tutto il mondo delle corse per la micidiale serie di incidenti avvenuti a inizio anni Cinquanta, Dagrada decise di costruire una monoposto per la neonata Formula Junior. Distinguendosi da tutti gli altri costruttori italiani, che usavano motori FIAT, Angelo scelse il quattro cilindri a V di 1.098 centimetri cubici della Lancia Appia. Dopo averne profondamente modificato la testata e averne quasi raddoppiato la potenza, montò il motore e i suoi due carburatori orizzontali Weber doppio corpo su un telaio tubolare a traliccio con sterzo, sospensioni e frani derivati da una FIAT 1100 e con una carrozzeria interamente artigianale. Giancarlo Baghetti, rampollo di una ricca famiglia milanese cliente dell’officina di Dagrada, acquistò nel 1960 una di queste monoposto per partecipare alle gare di Formula Junior. Il 27 marzo, a Monza, vinse per la prima volta, e a questa seguirono altre vittorie: il connubio Baghetti – Dagrada ebbe modo di farsi notare, tanto che l’ingener Ferrari in persona volle incontrare il giovane Baghetti e, proprio alla guida di una Ferrari, Baghetti iniziò la sua avventura in Formula Uno, arrivando a essere pilota ufficiale della Scuderia. Le Dagrada (circa una decina) prodotte tra il 1958 e il 1963, pur velocissime, vennero progressivamente spodestate dalle nuove auto a motore posteriore, secondo quella che allora era la scuola britannica.
Il ragazzo, tornato a casa, decise di disegnare un marchio per quello sconosciuto costruttore: le auto portavano infatti, all’inizio, una semplice targhetta circolare sul cofano con scritto Lancia Dagrada Milano. Il ragazzo pensa alla Ferrari e al suo cavallo rampante in campo giallo. Pensa a Dagrada, che suona un po’ come drago… ma chi sa disegnarlo un drago?! Meglio un coccodrillo. Nero, in campo giallo, con sopra scritto, leggermente arcuato, Dagrada.
Il giorno dopo il ragazzo torna all’officina e consegna il disegno al meccanico, che non pare curarsene molto. Se questo fosse un film americano, o un romanzo di formazione, il burbero meccanico, vinta una iniziale ritrosia, comincerebbe a spiegare il funzionamento del motore al ragazzo dalle gambe lunghe, e dopo notti passate al banco prova osservando il dinamometro intossicati dai fumi di scarico, i due raggiungerebbero il successo e oggi il ragazzo sarebbe un ingegnere capo alla Ferrari, o forse addirittura un pilota di Formula Uno in pensione.
Ma questa è la vita vera, e niente del genere accadde. Il ragazzo andò al liceo, poi all’università. Non studiò ingegneria meccanica, come forse avrebbe voluto, ma medicina. Si specializzo, si addottorò e come molti dei nostri migliori cervelli, andò lontano a cercare i mezzi e la serietà necessari alla sua ricerca. Anche se lontana dalle amate automobili, la sua è stata una carriera importante e costellata di successi. Oggi quel ragazzo è un scienziato e docente di fama della facoltà di medicina di una grande città d’oltreoceano, ma la passione per i motori non è mai passata. Nel garage ha un’auto sportiva, erede della prima MG acquistata appena approdato in America, sulla mensola del camino modellini in scala 1/18 delle Ferrari dei suoi sogni. Ha passato qualche domenica sui prati di Lime Rock Park, compra le riviste di auto storiche e riceve i cataloghi delle principali aste, anche se è un collezionista solo virtuale.
Un giorno, quasi sessant’anni dopo quei caldi pomeriggi di fine estate, proprio sfogliando uno di questi cataloghi, l’ormai-non-più-ragazzo si imbatte in un’inserzione che non può non notare: un collezionista vende una Dagrada Formula Junior del 1961. In cima all’inserzione, una bella foto. In primo piano, il cofano anteriore. Sul cofano anteriore, uno scudetto: un coccodrillo. Nero, in campo giallo, con sopra scritto, leggermente arcuato, Dagrada.