Torino a testa in giù

La mia casa: una stazione. La mia vita una partenza, gli orari, le paure. La mia casa: una stazione. Oltre quella linea gialla: è proprio lì che c′è camera mia.

Quest’anno Luci d’artista compie ventisei anni e, come ogni anno, alcune nuove opere si aggiungono al già lungo elenco di istallazioni luminose che ogni autunno decorano la città e riempiono di entusiasmo i torinesi e i turisti. Questa volta è il turno, tra le altre, di piazza Carlo Alberto, con la nuova installazione luminosa Orizzonti di Giovanni Anselmo. Dice di quest’opera il curatore, Antonio Grulli: “Nell’opera Orizzonti emerge come l’artista abbia sempre lavorato su forze, elementi eterni e cosmici, e sull’energia. Qui ci sono quattro luci in cui sono nominati i punti cardinali, che permetteranno così allo spettatore o al passante di raggiungere un orizzonte altro, oltre il qui e l’ora, oltre un mero contesto spaziale, per ricongiungersi a una dimensione più ampia, eterna“. Più prosaicamente – indicando ciò che per una torinese, cartesiano come la pianta della sua città, potrà apparire lapalissiano – l’opera di Anselmo fornisce invece un aiuto fondamentale ai milanesi in trasferta permanente come me.

Già, perché proprio in questi giorni festeggio gli ormai due anni che Torino è diventata protagonista della mia vita (ricorrenza mi rendo conto assai meno rilevante) e a questo punto, forte di una conoscenza sempre più dettagliata di questa città e dei suoi quartieri, dei suoi pregi e dei suoi difetti, dei suoi caffè e delle sue piole, credo di potervi fare una confessione: per noi che veniamo da Milano, Torino è a testa in giù.

Può sembrare strano, ma vi garantisco che è cosi… vabbè, almeno per me: se mi chiedete di orientare la mappa della città, d’istinto la giro a gambe all’aria. E solo dopo aver fatto appello al mio senso dell’orientamento e al mio lato razionale, rimetterò la mappa nel verso giusto, con sollievo dei torinesi cui iniziava ad andare il sangue alla testa.

Mi sono chiesto spesso il motivo di questo disorientamento, ma in fondo forse la ragione è semplice: per un milanese non è per nulla intuitivo pensare che, arrivando da Milano, si entri a Torino da Nord.

Ora, voi mi direte: il centro di Milano si trova a 45 gradi e 28 primi Nord, mentre quello di Torino a 45 gradi 04 primi (comunque entrambi più a Sud dei 45 gradi 39 primi di Trieste, e questo sappiamo che è l’unica cosa che conta). Quindi, andare a Torino da Milano sarebbe, tecnicamente, un viaggio verso Sud.

Ecco: è proprio questo a non essere compatibile con la geografia simbolica di un milanese. Perché, nonostante l’incredibile compressione spazio-temporale operata dall’alta velocita, andare a Torino rimane un viaggio, anche se fatto di meno di un’ora. Un viaggio verso le Alpi, verso la Francia, verso la civiltà. Tutta roba che sta a Nord.

E spiegaglielo tu, dunque, a un Milanese, che Barriera di Milano è a Nord e che Mirafiori è a Sud (A Sud?! Mica ci facevano l’Alfasud! Che poi, in effetti, era un’Alfa, che allora non era ancora della FIAT…). Spiegaglielo, che il Po scende placido verso l’alto della mappa e che solo sul confine con la Lombardia accennerà un rapido inchino verso Sud, lasciando in realtà prevalere il suo viaggio verso oriente, dalle sobrietà sabaude agli ori bizantini. Raccontagli tu della stazione di Porta Nuova – tutta rivolta verso le Alpi Marittime e verso la Francia, e dunque verso Sud – Ovest, pronta ad accogliere di nuovo Cristina di Borbone – che riceve i treni che arrivano da Nord, ovvero dal resto del paese (che i torinesi si chiedono ancora, secondo me, cosa l’hanno conquistato a fare) solo dopo avergli fatto fare una lunga giravolta che sa di dovuta riverenza.

Ecco, tornare a guardare Torino per il verso giusto – anche senza l’aiuto della pur bellissima opera di Anselmo – è il primo passo per capire una città tanto semplice e lineare all’apparenza quanto complessa e sofisticata nella sua anima più profonda. Liberandosi prima di tutto di molti altri pregiudizi: perché mica finiscono con la storia del Nord le false credenze dei milanesi riguardo a Torino. Il suddetto milanese, interrogato senza il tempo di chiedere l’aiuto da casa o di Federico che consulta Wikipedia, con ogni probabilità sottostimerà il numero di abitanti almeno del 50%, pensando a Torino come a un sonnolento paesone un po’ fanée. La immaginerà ancora prigioniera della sua anima industriale di company town, compassata nei suoi modi cortesi (beh, sì: il vero milanese direbbe “falsi e cortesi”), elegante e restia all’innovazione come la scenografia di una serie televisiva ambientata nell’Ottocento. Che sono poi tutte Torino in parte vere (alla base di ogni stereotipo c’è un fondo di verità), ma che non rendono giustizia a questo meravigliosa città, per ciò che è ma soprattutto per ciò che potrà essere.

(Certo, per amor di simmetria potremmo dilungarci sulla non meno equivocata immagine che i torinesi hanno di Milano e dei milanesi, quel misto di immotivata invidia e malcelato disprezzo per i cugini grevi e caciaroni che in fondo, forse, è solo una forma di fraterna competizione… Dedicherò un giorno forse, un intero post a questo argomento, magari quando mi sarò torinesizzato un po’ di più.)


Se tutto va bene, mi rimane ancora qualche anno per decifrare per intero questo enigma meraviglioso. Ci aggiorniamo al prossimo anniversario. Ora però vi saluto che mi rimane solo più una tacca della batteria, e devo ancora chiamare a casa. Solo che…

La mia casa (una stazione)

La mia casa: una stazione. La mia vita una partenza, gli orari, le paure. La mia casa: una stazione. Oltre quella linea gialla, è proprio lì che c′è camera mia.

Colonna sonora, naturalmente: Camera mia di Eugenio in via di Gioia, da Natura viva, Virgin Records, 2019.

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