Salone di bellezza

Oggi, nei miei programmi, avrei voluto parlarvi della nostalgia. O del figlio di Bin Laden. Ma la settimana appena passata era, qui a Milano, la settimana del Salone.

Non mi dilungherò in spiegazioni, presumendo che chi mi legge (già: chi mi legge?) sappia di cosa sto parlando. La cosa curiosa, su cui vorrei soffermarmi il breve spazio di questa domenica mattina, è la profonda post-modernità dell’evento, quantomeno dal punto di vista degli outfit.

Tutti quanti i viandanti erano, con ogni evidenza, molto eleganti, con il pedale schiacciato a fondo del proprio Dress Code. Ma tale codice non è da tempo un valore condiviso, i più apparivano, più che altro, travestiti da se stessi. Risultato: una folla variopinta che si aggirava per la città avendo un che di inconsapevolmente carnevalesco.

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Senza pretesa di completezza, vi racconto quel che ho visto.

Un francese un poco agée che veste denim total-black, con fluenti capelli bianchi da rockstar ormai in declino. Una ragazza di Germania con scarpe, zaino e palandrano degni forse di altra impresa o di un clima più montano.

Qualche architetto, tra cui il sottoscritto, ancora in jeans a gambo dritto, probabilmente deriso, con proporzionata reciprocità, da un hipster designer che passava di là; irrimediabilmente divisi, i due malcapitati, dai pantaloni diversamente tagliati, entrambi ignorano di condividere la Molesckine su cui scrivere.

Un australiano un po’ pacchiano che veleggia catamarano sugli scafi in pelle nera di stivali da crociera. La modella, di passaggio in città, con vestitino in taffetà e stivali da cow boy: o il di-sopra è ibernato o i piedi caldi assai.

I britannici, come stupiti dal caldo estivo che li ha assaliti, girano con t-shirt attillate forse destinate a situazioni più private.

Stupisce, in generale, la quantità di colori che possono avere le astine gli occhiali. E le tinture per i capelli, assai variopinti pure quelli. Sorprende anche la capacità delle mise più complicate di resistere in città a giornate così prolungate. Appassiona le cura con cui vengono dipinte unghie, magliette, facce e scarpe. La cura con cui vengono avvitati pircieng, allacciati stivali, modellati ciuffi.

Il prodotto sei tu, me ne rendo conto, ma ,mi chiedo, senza sarcasmo: rimarrà un po’ di creatività anche per progettare la città?

Potendo, avrei passeggiato ascoltando The sparrow and the crow di William Fitzsimmons, Dark Sparrow Records, 2008.

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