Raffae’ e la Composizione

In architettura usiamo molto la parola “composizione”. Temo però che qualunque mia dissertazione su questo tema risulterebbe del tutto inadeguata in questa sede, vuoi per la necessaria brevità, vuoi per il profilo generalista del mio pubblico immaginario, vuoi per il rischio di risultare – su un tema così complesso – del tutto inadeguato alle aspettative mie e altrui. In generale, e senza arrischiarci troppo, possiamo però dare per acquisito come chi provenga da altre discipline fatichi a comprendere l’esatta accezione che questa parola ha per noi architetti.

Per esempio, Raffaele. 

Raffaele ha modificato una carrello cingolato Elektro Joe, montandogli ‘n coppa (come credo direbbe lui) un contenitore isotermico da circa 1.200 litri. Da dieci anni, per tutta l’estate, Raffaele riempie ogni mattina il suo frigorifero semovente di cibarie varie: tramezzini, panini, acqua, birra (“Ichnusa o Messina? Le birre delle isole: uno scontro tra Titanic!” cit.) seguendo i suggerimenti dei fornitori di fiducia, la disponibilità della locale Ipercoppe e le mode del momento. Con il mezzo così preparato, Raffaele raggiunge la lunga spiaggia che costeggia il Parco Costiero di Rimigliano e per tutto il giorno, impavido sotto il solleone e sferzato dal vento, la percorre da Sud a Nord e poi ritorno, smerciando a prezzi più che onesti i suoi preziosi prodotti agli accaldati frequentatori della spiaggia libera e naturale.

La vera specialità di Raffaele è però il piatto di frutta mista, piatto che viene da lui preparato rigorosamente sul momento. In caso di richiesta, Raffaele estrae dal suo magico contenitore meloni rosa e gialli, pompelmi anch’essi rosa e gialli, ananas, arance, mandarini, angurie, banane, fichi d’india e altri frutti che quel giorno ha deciso di offrire. Li allinea ordinatamente sulla superficie superiore del cassone, adibita anche a tagliere, estrae coltelli di diversa foggia e misura e con la rapida e precisa maestria di un vero Shokunin affetta, sminuzza e distribuisce sul piatto, verificando con nonchalance l’equilibrio nella distribuzione dei pezzi di diversa natura, colore e dimensione. Il tutto, senza mai smettere di intrattenere la clientela con un torrente inesauribile e non sempre comprensibile di facezie, battute, commenti e pensieri esistenziali nel suo morbido e gioioso dialetto napoletano. Il tocco finale sono alcuni pezzi di piccantissimo zenzero candito che macereranno nei succhi della frutta, ammorbidendosi e dando carattere al piatto.

E così i bagnanti – che aspettano in coda saltellando da un piede all’altro sulla sabbia rovente, passandosi da una mano all’altra il portafoglio con la chiusura a zip, aggiustandosi il cappello di paglia o il pareo, chiacchierando con gentile leggerezza con gli altri clienti (mantenendo quest’anno l’opportuno distanziamento fisico ma con una improvvisa seppur effimera vicinanza sociale, forse facilitata dalla scarsità di preoccupazioni e di vestiti, sicuramente agognata dopo i duri mesi del lockdown) – assistono ignari a una straordinaria lezione di composizione, anche se forse né loro né Raffaele hanno chiara  l’esatta accezione che questa parola ha per noi architetti. E anche se io non sono stato in grado di raccontarvi, nell’incipit di questo post, la relazione strettissima tra disposizione della frutta e progetto di architettura (devo assolutamente ritrovare il mio blocco di appunti del corso di Jardineria y Paisaje di Darío Álvarez Álvarez).

(Dopo aver paragonato Raffaele a un maestro di Sushi, potrei ora tediarvi con uno dei miei cavalli di battaglia, peraltro originariamente concepito proprio qui in terra di Maremma: quello della differenza tra commerciante e artigiano, ma lo terrò in serbo per un’altra occasione)

Inizia a scrivere il termine ricerca qua sopra e premi invio per iniziare la ricerca. Premi ESC per annullare.

Torna in alto