Da bambino ho imparato a sciare sull’unico ski-lift che risaliva le non-proprio-scoscese pendici di una collinetta davanti al Rifugio Monte Avaro (il secondo impianto, di qualche metro più lungo, apriva solo la domenica). Per chi mi abbia visto sciare, questo spiega molte cose. Andavamo ogni anno per una settimana in questo delizioso posto, con una variegata compagnia di amici e parenti. Il rifugio era talmente frequentato che il gestore, alla sera, ci lasciava le chiavi e se ne andava. Non saprei dirvi con esattezza perché, ma a un certo punto abbiamo interrotto questa tradizione. Ma è rimasta l’abitudine alla settimana bianca, passata negli anni successivi in diverse località e con differenti (e più ristrette) compagnie. È stato divertente sciare in tanti posti diversi e accumulare nei ricordi piste, alberghi e tradizioni culinarie differenti.
Sono però ormai quasi vent’anni che vado a sciare nello stesso posto. Per l’esattezza: diciannove.
Nei primi anni novanta, infatti, i miei genitori si fecero sedurre, seppur recalcitranti, dall’allora molto di moda sistema delle multiproprietà. E si comprarono una settimana in un bellissimo albergo dolomitico, proprio sul confine tra Trento e Bolzano. Non saprei dirvi se, dal punto di vista finanziario, l’investimento sia stato oculato; francamente, credo di no. Dal punto di vista della qualità della vita, invece, è stata una decisione estremamente positiva. Da allora, infatti, e con pochissime eccezioni, ogni anno concludono (concludiamo) l’inverno con una meravigliosa settimana di sci. Nel tempo si sono spesso aggiunti amici e parenti, a volte (sempre più spesso) abbiamo preso anche altre stanze e, pista dopo pista, skilift dopo seggiovia, gli anni sono passati. Ormai, come vi dicevo, quasi venti.
E così, l’altro giorno, dalle alture del Paolina, guardando un panorama mozzafiato e cercando di non pensare ai casini inenarrabili che mi aspettavano al mio ritorno a Milano, mi sono immaginato di stare nel mezzo (vent’anni più, vent’anni meno…).
Il mio me stesso di vent’anni fa mi sembra tutto sommato abbastanza simile a me. Si credeva già adulto, e lo era non molto meno di quanto lo sia io oggi. Era già entrato, anche se da pochi mesi, nel mondo dell’architettura (frequentava, ignaro del futuro, il primo anno della Facoltà). Era un gaudente pelandrone sovrappeso, anche se non poteva immaginare quali traguardi si potessero raggiungere da questo punto di vista. Certo, gli sci si sono accorciati di una ventina di centimetri e allargati di tre o quattro. Ma già allora, smesse le improbabili tute da Mazinga degli anni Ottanta (in pendant con la crema solare fluorescente) e l’accoppiata Jeans e ghette dell’Invicta, sciavo con la giacca a vento rossa e i pantaloni blu, come oggi. Insomma, questi vent’anni sono passati in un soffio; verrebbe da dire: invano.
È a pensare al me stesso tra vent’anni, che mi viene un coccolone.
Eppure, se la matematica non è un’opinione, sono equidistante tra il tardo adolescente che ero e l’attempato senescente che sarò. Agghiacciante. Mi rifiuto di crederlo. Mi appello alla teoria della relatività ristretta: la distanza tra i due punti dipende dall’osservatore, e vi garantisco che l’osservatore, che nella fattispecie sarei io, si sente molto più vicino al tardo adolescente che non al senescente… Da questo punto di vista, devo dire, deve esserci un baco di qualche tipo nell’educazione della mia generazione di indefessi Peter Pan.
Però poi ti capita che tornando attraversi la Piana Rotaliana e la Valle dell’Adige nel sole di un pomeriggio di quasi-primavera. La musica che hai preparato nel lettore ti accompagna piacevolmente e nello specchietto vedi la famiglia dormire e pensi che, forse, il tempo non è passato proprio invano.
La playlist che mi ha accompagnato nel viaggio, preparata in realtà per un regalo a una cara amica, è questa: Mumford & Sons – Little Lion Man, I’m from Barcelona – Charlie Parker, Lazlo Bane – Superman, Beirut – Santa Fe, Jack Johnson – Better Together, Herbie Hancock – Stitched Up (Feat. John Mayer), Raphael Gualazzi – Loves Goes Down Slow, Josh Rouse – Quiet Town, Bon Iver – Skinny Love, Paolo Nutini – Candy, Alexi Murdoch – All My Days, Paolo Nutini – New Shoes, Cory Chisel and The Wandering Sons – Born Again, Mumford & Sons – The Cave, Jack Johnson – Banana Pancakes, Newton Faulkner – Dream Catch Me, Adele – Set Fire To The Rain, The Kooks – Ooh La.