Qualche giorno fa il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano ha organizzato un ricordo di Corinna Morandi a un anno dalla sua scomparsa. Gennaro Postiglione mi ha coinvolto per un piccolo intervento e gliene sono grato: ricordare Corinna è stato prima di tutto un grandissimo, benché tristissimo, piacere. Qui di seguito trovate quello che ho ho detto (più o meno).
Mi è stato chiesto, e con me a Gabriele Pasqui (e la cosa mi lusinga molto e mi intimorisce anche un po’…), di contribuire a questo convegno-ricordo provando a raccontare l’aspetto di impegno civile e istituzionale di Corinna. Nel mio caso, immagino, per il suo coinvolgimento negli ultimi anni all’Ordine degli Architetti P.P.C. di Milano.
Sarebbe forse giusto trattare questo aspetto conservando un registro il più possibile istituzionale, ma non posso nascondervi come questo non sia per me per nulla facile: già mi riesce difficile normalmente, figuriamoci parlando di Corinna, che della contaminazione tra personale e istituzionale era sapiente frequentatrice, seppur sempre nei limiti chiari della correttezza e sempre a tutto vantaggio dell’efficacia. Non posso che cominciare quindi citando il fatto che conoscevo Corinna fin da bambino, essendo lei parte di un ampio giro di amicizie della mia famiglia. L’ho poi persa e rincontrata molte volte, ma quella antica frequentazione ha sempre conferito al nostro rapporto una confidenza che mi lusingava.
Nonostante questo, quando nella primavera del 2017 stavamo costruendo una proposta per il Consiglio del nostro Ordine, non fu mia l’idea di coinvolgere Corinna, bensì del collega e amico Marcello Rossi. Feci però io la telefonata a Corinna, proprio in virtù di quella confidenza. La ricordo bene, quella telefonata: era una sera e, devo confessarvi, ero in bicicletta, ma la discussione si fece subito densa e dovetti fermarmi, mi pare vicino al fioraio che c’è in via Melzi d’Eril. Corinna non aveva ancora accettato di entrare a far parte del gruppo, non ci eravamo ancora candidati e meno che mai eravamo stati eletti, ma mi stava già inondando di idee e raccomandazioni. Diciamocelo, avevamo pescato il jolly (forse senza saperlo): le energie che fino al giorno prima della pensione Corinna aveva dedicato alla Scuola furono tutte per noi e gli anni a seguire sono stati tutti così… idee, proposte e tantissimo lavoro, fino a quel giorno in cui con Marcello siamo stati a trovarla nella sua amata casa di via Trieste e Corinna, benché profondamente segnata dalla malattia, ha liquidato in pochi minuti l’aggiornamento sanitario per poi iniziare a interrogarci e spronarci sul futuro dell’Ordine.
Della nostra consiliatura Corinna è stata vice-presidente. Una scelta scontata per merito evidente, per voti raccolti e anche più prosaicamente per complementarietà di età e di genere con un quasi-giovane presidente maschio. A me imbarazzava sempre presentare una persona di quella levatura come mia vice, mi sembrava un po’ un mondo al contrario… lei invece era molto divertita dalla strana coppia che formavano e si prendeva gioco bonariamente di me chiamandomi “il mio presidente”. Per gli anni che l’ho avuta accanto è stata la mia coscienza e il mio sprone. Sempre lucida nel leggere le situazioni, con un’asticella istituzionale altissima, mi sgridava ogni volta che le sembrava fossi troppo incline al compromesso e non lasciava mai che ci soffermassimo sui risultati ottenuti più del tempo di un sincero quanto asciutto complimento, passando subito alla sfida successiva.
Oltre alla vice-presidenza, Corinna assunse la delega al programma culturale dell’Ordine e divenne membro del Comitato Tecnico Scientifico relativo. In questa veste ha immaginato, voluto, perseguito e realizzato moltissime cose. Come ben potrebbero raccontare l’amico e consigliere dell’Ordine Stefano Tropea, Beatrice Costa direttrice della Fondazione e tutte le persone che hanno lavorato con noi su questo temi, serate, convegni ed eventi formativi sui temi e sulle questioni più varie si organizzavano con grandissima facilità grazie al suo sguardo lucido e alla sua sterminata rubrica di persone che mai avrebbero risposto “no” a una sua chiamata. Il grande evento speciale dedicato a Giancarlo De Carlo e all’ILAUD, per esempio, è stato un suo capolavoro: un anno di incontri, una mostra, un libro: uno dei palinsesti più complessi e ricchi che l’Ordine e la sua Fondazione avessero mai costruito. E poi tante altre iniziative che è difficile ricordare per esteso qui: per farsene un’idea è sufficiente guardare il sito dell’Ordine o il suo Bilancio Sociale: per chiunque conoscesse un poco Corinna non sarà difficile trovare in molti posti il suo inconfondibile tratto.
C’erano poi alcune sensibilità profondamente radicate nel profilo di Corinna che ne hanno orientato l’azione, anche a prescindere da ruoli e deleghe.
La prima era certamente quella dell’interscalarità delle politiche, che era sempre stata oggetto dei suoi studi e della sua ricerca. Questa attenzione ha rapidamente assunto, considerato anche l’ambito territoriale dell’Ordine stesso, la dimensione metropolitana. Ogni idea, politica, azione veniva subito osservata da Corinna, anche grazie a consiglieri particolarmente sensibili come Filomena Pomilio e Vito Redaelli, dal punto di vista metropolitano. Appena insediati, scrivemmo al Consiglio Nazionale chiedendo che il nome degli ordini delle città metropolitane (o, almeno, il nostro…) venisse convertito in Ordine degli Architetti P.P.C. di Milano Metropolitana. Naturalmente non se ne fece nulla, pare servisse addirittura una legge dello Stato, e continuammo a chiamarci Ordine della Provincia di Milano, ma noi ragionammo nei mesi e negli anni a venire cercando di partire dall’assunto che la scala metropolitana e le sue complesse relazioni dovessero essere protagoniste della nostra azione. Era una sfida difficile, quanto se non ancor più di quanto lo fosse per l’Amministrazione stessa, perché il peso del Comune capoluogo è enorme, sia nella localizzazione degli iscritti che nel loro lavoro, ma anche a causa di consolidata tradizione di Milano-centrismo dell’Ordine e dei suoi organi. Eppure, anche e soprattutto grazie a Corinna, in questo ambito abbiamo fatto di più di quanto mai non si fosse fatto.
Un altro ambito caratterizzante era, naturalmente, l’importantissimo passato di Corinna al Politecnico, istituzione con cui intratteneva una relazione intensa quanto libera, sia con i diversi organi che con le persone a tutti i livelli. Per quella che è stata la mia esperienza nel mondo degli ordine, mi sento di dire che grazie al ruolo di Corinna abbiamo costruito una delle relazioni più efficaci e equilibrate che l’Ordine abbia mai avuto con l’Università, sia a Milano che altrove, con un grande vantaggio reciproco e con alcuni progetti, come quello dei tirocini, che credo e spero siano destinati a durare nel tempo.
C’era poi, naturalmente, la vasta rete di relazioni internazionali che Corinna aveva costruito negli anni, oggetto anche di una parte specifica di questo convegno. Da questa scaturì in particolare un robustissimo legame con Madrid e con il suo Collegio, con cui svolgemmo un denso gemellaggio da cui abbiamo potuto apprendere moltissimo.
E poi il suo essere donna che nulla aveva temuto nella sua lunga carriera, con uno sguardo sulla parità di genere sempre attento, originale e sfidante, lontano dagli stereotipi e straordinariamente legato alla realtà della vita.
In ultimo, ma certo non per importanza, c’era la visione che Corinna aveva della professione. Questa è stata in assoluto la sorpresa più grande e mi ha fatto pensare molto. Corinna ha speso la sua intera vita in università e non ha mai praticato la professione, né autonomamente né all’interno degli organi accademici. Eppure aveva un senso profondo e preciso della professione, con cui spesso ci richiamava al nostro ruolo. Non è facile comprendere dove questo si radicasse e come si fosse nel tempo alimentato: la mia opinione, con beneficio di inventario, è che Corinna fosse, a discapito dell’età non così avanzata e per ragioni biografiche e culturali del tutto eccezionali, uno degli ultimi rappresentanti di una generazione ormai in via di estinzione (se non del tutto estinta) per cui professione e accademia, progetto e ricerca, pensiero e azione rimanevano parti di un unico impegno indivisibile, indipendentemente dagli itinerari personali di ciascuno. Una concezione da un certo punto di vista antiquata (o forse, meglio, antica) e non del tutto praticabile oggi, ma molto solida e sana, una concezione che, vista attraverso di lei, appariva se non auspicabile quantomeno invidiabile e degna di una sincera nostalgia.
I pochi anni all’Ordine hanno rappresentato un’ultima, piccola, parentesi nel lungo e intenso percorso personale, professionale e scientifico di Corinna. Anche se a noi, suoi colleghi in Consiglio, viene naturale rivendicare questa parte della sua vita, sarebbe improprio pensare che possa prevalere su decenni di impegno in altri campi. Eppure il suo passaggio all’Ordine degli Architetti di Milano ha lasciato il segno, così come l’ha lasciato in ognuno di noi. Sono certo che molti in via Solferino oggi, Consiglieri e staff operativo, si chiedono ogni tanto, come faccio io, “cosa avrebbe detto Corinna”. Avrebbe probabilmente detto che andava bene, e che eravamo bravi. E poi avrebbe aggiunto che certo si poteva fare quest’altra cosa, e che quest’altra ancora si poteva fare meglio, e che non ci dimenticassimo di quest’altra ancora. E poi ci avrebbe ricordato che ci aspettava a cena nel suo giardino, dove ci saremmo divertiti, avremmo mangiato benissimo e chiacchierato ancora meglio, dove, chiacchierando e mangiando e divertendoci avremmo pensato nuove cose da fare, nuove sfide da lanciare, nuove imprese da intraprendere.
Io il mio pezzettino di Corinna me lo sono portato a Torino, dove spesso mi chiedo “cosa avrebbe detto Corinna”.