Prendete dodici rossi d’uovo. Mescolateli accuratamente con poco più di due etti di zucchero e con un cucchiaio ben colmo di cacao. Quando sono ben amalgamati aggiungete un litro di panna e un quarto di latte. Mettete sul fuoco e, lentamente, portate a bollore. Appena compaiono le prime bollicine togliete dal fuoco e versate in un recipiente freddo. Lasciate riposare alcune ore in frigorifero o all’aperto. Avrete così ottenuto una deliziosa crema in grado, per apporto calorico e proteico, di sfamare un manipolo di bracciante addetti a far fieno. Tale leccornia, a casa nostra inspiegabilmente chiamata Latte a la creme, viene dalla mia famiglia invece consumata, con l’immancabile panettone, a chiusura dei pantagruelici pasti festivi.
Quest’anno mi sono occupato personalmente di prepararla, anche se, incredulo davanti alla ricetta, ho inopinatamente scambiato il latte con la panna.
Ora, voi vi chiederete: cosa spinge un essere umano adulto e ragionevolmente raziocinante a procedere, dopo aver ingurgitato grassi di almeno quattro animali diversi (manzo, vitello, cappone e oca), carboidrati in abbondanza e altri nutrimenti vari, all’assunzione di cotanta bomba nutritiva?
Proverò a darvi una mia spiegazione che ha poco a che fare con diete e nutrimenti e molto con la memoria, il passato e il futuro.
Provate a stendere un piccolo elenco di dettagli irrinunciabili delle vostre abitudini, di piccole tradizioni personali o famigliari. Il periodo festivo si presta benissimo, mi sembra, a questo innocente gioco. Prendiamo, per esempio, il giorno di capodanno. Pur fiero della nostra identità nazionale e memore delle battaglie risorgimentali, provo una struggente nostalgia per Peppi Franzelin e i suoi stopposi commenti a margine del Neujahrskonzert dei Wiener Philharmoniker. Quando, nel 2003, la RAI ha deciso di trasmettere in diretta il concerto della Fenicie di Venezia, e di mandare in differita quello viennese, mi sono sentito personalmente defraudato. Voi mi direte: è tutto uguale, c’è anche la Peppi, solo lo trasmettono con una leggera differita. Ma questo rovina tutto: non ti senti più solidale agli altri milioni (gli austriaci sostengono un miliardo) di spettatori che battono contemporaneamente le mani al ritmo della Marcia di Radetzky (la mia versione preferita è quella di Abbado del 1991, dove il divertito e divertente direttore italiano cerca di domare la sala). E poi, a quell’ora, sono occupato: devo mangiare (e digerire) il Latte alla creme. Per fortuna questa sgradita novità ha coinciso con una mia ormai quasi regolare presenza sul suolo austriaco il primo giorno dell’anno. Qui, ovviamente, il concertone è in diretta; purtroppo, però, non c’è Peppi Franzelin. vedrò, l’anno prossimo, di fare in modo che ci sia il latte a la creme
Ora, non so come proceda il vostro elenco, ma il mio è davvero lungo. È pieno di stupidaggini e di cose importanti, di innocenti perversioni e di dettagli (che a me paiono) fondamentali. Io ne sono molto geloso: lo coltivo, lo difendo, lo coccolo, cerco di trasmetterlo ai miei figli. Queste piccole tradizioni, come credo di aver già più volte ricordato in questo blog (che a me sembra noioso e ripetitivo ma che inspiegabilmente qualcuno continuai a leggere, con mio sommo piacere…), sono i fondamenti di ogni spinta verso il nuovo.
Volendosi prendere sul serio più di quanto non sia ragionevole, verrebbe da fare un piccolo pensiero. La mia generazione è cresciuta in una realtà che si divideva tra destra e sinistra, secondo categorie invero muffosette. Poi ci siamo dati a una più anglosassone divisione tra progressisti e conservatori che, pur rappresentando in qualche modo un passo avanti, mi sembra anch’essa incapace di focalizzare i conflitti maggiori. Soprattuto, personalmente, fatico collocare in questi termini il mio rapporto con tradizione e innovazione, con passato e futuro. Steve Jobs, arrogantissimo genio, proponeva di dividere il mondo tra demolitori e costruttori. Adottando questa definizione, in termini di rapporto con le tradizioni verrebbe da dire che i distruttori hanno bisogno di un passato coerente (foss’anche fittizio) cui tendere demolendo il presente, mentre i costruttori hanno bisogno di solide basi su cui costruire il futuro.