Banca Popolare di Milano,
la
vostra
banca.
Questo recitava una grande insegna luminosa posizionata sulla copertura di una torre residenziale della periferia Nord-Ovest di Milano, dalle parti di viale Certosa. I destinatari del messaggio erano gli automobilisti di passaggio sul Cavalcavia del Ghisallo, ovvero quelli in arrivo da Torino, da Como, da Varese, ma anche, come noi, da Bergamo. C’era tutto il tempo per leggere la scritta, perché l’accesso alla città avveniva tramite una gigantesca rotonda, più simile a un girone infernale che a un dispositivo viabilistico, che generava code di ore ogni domenica sera, al momento del canonico rientro in città. Su quella scritta un annoiato Paolone seienne, allora ancora e per tutti Paolino, esercitava i primi rudimenti di lettura.
Sono passati trent’anni; la grande rotonda non c’è più, sostituita da un avveniristico svincolo autostradale, e le code hanno trovato altri luoghi dove dimorare; il cavalcavia è ora preceduto da uno scenografico ponte strallato e sulla destra si stagliano i grattacieli dell’improbabile Défense milanese; il cartellone è stato sostituito da uno nuovo, sempre della stessa banca.
Ma, soprattutto, il Paolone è alla guida e sui sedili dietro dormono la Luisa e il Michelino. Dormono perché è stato un fine settimana impegnativo, di festa di compleanno e di giochi forsennati, di caprette e di asinelli. Dormono e anche se non dormissero non potrebbero leggere la grande scritta, un po’ perché non c’è più la coda, un po’ perché la Luisa andrà a scuola solo a settembre.
Va che son pensieri pericolosi da fare alla sera prima di andare a dormire: qui rischia di toccarti uno di quei bilanci esistenziali che se ne esce con lividi e escoriazioni. Perché potrebbe venirti in mente di chiederti cosa hai combinato, in quest trent’anni, cosa hai fatto e cosa pensi di fare, se sei arrivato da qualche parte o se sei ancora li, in coda, sul Cavalcavia del Ghisallo.
Quindi, per sopravvivere, vi propino un bel Paolone. Un Paolone per trovare una ragione. Al tempo che passa, alle cose che succedono, a quello che facciamo. Un Paolone per pensare alle cose che so fare. Perché, davvero, ci sono delle cose che so fare. Mi perdonerete se non le sto a elencare, mi pare inelegante e poi mi potrei sbagliare. Vabbè, se insistete, qualcuna ve la posso raccontare…
Sono bravo a parlare, posso farlo per ore. Se sono ispirato so anche farmi ascoltare. A volte, di rado, ho perfino qualcosa di interessante da dire. Mi vanto di saper cucinare, ma è millanteria delle più pataccare. So, però, mangiare e di gran di gusto: piú di una volta mi è capitato che il cuoco si venisse a complimentare. (giuro)
A volte sono bravo a svicolare, ma poi mi tocca passare la notte a guardare il soffitto, pensando a tutto quello che mi rimane da fare. Già, perché non sono per niente bravo a dormire (che, per esempio, è quello che adesso dovrei fare).
Ho a lungo sognato di saper suonare, a tratti mi sono anche illuso di poterlo fare; quel che ne è rimasto è un buon ascoltatore. Non sono, invece, bravo a cantare, ma all’occorenza lo posso fare e questo di solito aiuta le mie piccole belve a dormire.
Mi piace scrivere, e credo di saperlo fare abbastanza bene; mi viene facile, mi rilassa molto e allevia le pene. Perlomeno fin che non serve a niente, che quando è per questioni di lavoro, divento pignolo e posso metterci le ore.
Sono privo di qualunque dote per l’attività fisica, allergico a ogni competizione; non amo la sfida e sono straordinariamente privo di coordinazione. Ma sono bravo a teorizzare: potrei insegnare uno sport che non ho mai praticato (per essere precisi, l’ho fatto in passato).
A volte ho pensato di essere bravo a ballare, al punto di applicarmi e anche di studiare. Non saprei dirvi ora se fosse vero, ma servì a suo tempo a quello a cui doveva servire…
Ci sono delle cose che so fare. Il problema è che, in questo mondo, non servono mica a campare. Ci sono delle cose che so fare, e tra queste, per fortuna, c’è anche che mi so arrangiare. Quindi panzienza, continueremo a galleggiare.
E poi, nello specchietto retrovisore, ci sono le facce angeliche dei piccoletti che continuano a dormire. Ecco: se dovessimo guardare al risultato, più che al metodo, forse quella è una cosa che so fare…