La voglia di ascoltare

Eccomi di nuovo in difficoltà.

Ho più volte promesso che non avrei mai parlato di architettura, ma questa volta temo di non farcela proprio.

Succede che durante i giorni del ponte, un sacco di architetti, sottoscritto incluso, si sono dati appuntamento a Perugia per Festarch. Dovrebbe essere vietato, se non dalla legge almeno dal buonsenso, mettere 60.000 architetti tutti nello stesso posto. Invece si fa.

Dopo quattro giorni di full immersion, lasciate che vi sottoponga una mia piccola riflessione. Diciamo che proverò a fare dell’architettura una sineddoche: che cercherò, attraverso la parte, di parlare del tutto.

Ho visto e sentito, in questi giorni, cose bellissime. Soprattutto sentito.

Ho sentito due signore irlandesi raccontare architetture meravigliose con la modesta determinazione di un vecchia coppia di amiche che si ritrova, in un’umida sera d’estate, a dondolarsi sotto un portico e a cucire una grande coperta patchwork.

Ho visto una sofisticata signora della costa est, caschetto salepepe e pantaloni di gabardine, raccontare con composta ironia di spiagge brasiliane e di esibizionisti newyorkesi, nascondendo con noncuranza sotto la camicia da uomo uno strabordante amore per la vita e per il mondo.

Ho visto un meraviglioso galletto danese flirtare con un’intera platea di architette di ogni grado ed età. Ho visto il rivoluzionario istituzionale demolire a picconate il mondo che ha costruito.

Ho visto visionari argentini, combattenti aquilani, appassionati romani.

È stato bellissimo ascoltare. E imparare. Purtroppo ho dovuto anche parlare, ma per fortuna non c’era nessuno.

Mi è rimasto un dubbio, ma forse sto solo diventando vecchio. Ho avuto la sensazione che sempre più gente abbia voglia di parlare e sempre meno gente abbia la pazienza di ascoltare. Forse è diventato troppo facile comunicare, troppi media a disposizione; forse siamo tutti ubriachi del nostro quarto d’ora di celebrità; forse siamo sempre troppo di fretta per fermarci ad ascoltare. Forse non abbiamo più voglia di imparare.

In fondo, me ne rendo conto, non ha molto senso parlare di queste cose su un blog, strumento emblematico del vaniloquio solipsistico di questo nuovo millennio. Ma, figura retorica per figura retorica, lasciatemi passare dalla sineddoche all’ossimoro e lasciatemi usare questa impropria sede per lanciare un appello in favore della voglia di ascoltare. E di imparare.

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