Leggo con una certa costanza “Domenica”, l’inserto domenicale del Sole 24 Ore dedicato alla cultura. Complessivamente è un oggetto che mi piace molto. La carta rosa salmone, i meravigliosi font disegnati appositamente da Molotro, le illusarzioni di Guido Scarabottolo. Non nego, all’inizio, forse, che fosse anche una posa, un modo per darsi un tono. Ma ormai è autentica passione.
Non mi sono mai considerato una persona particolarmente colta. So delle cose, forse molte, generalmente inutili, ma della persona colta mi mancano le basi. Sarà stata la disastrata scuola italiana, sarà stata la mia proverbiale pigrizia, sarà l’incostanza che ho imparato a spacciare per eclettismo, fatto sta che il mio sapere presenta la caretteristica morfologia detta a “Emmentaler”: una geografia fatta di buchi.
Forse per una naturale tendenza a riempire, o per un malinteso ideale di intellettuale borghese (ah, i danni della sindrome dell’impiegatino asburgico), vivo con la pulsione eternamente insoddisfatta di aumentare continuamente le informazioni in mio possesso.
Sono sempre stato così e, quando Umberto Eco, nei primi anni Novanta, iniziava a spiegarci le meraviglie dell’ipertesto, avevo subito fiutato il pericolo in arrivo. Pochi anni dopo, è entrata prepotentemente nelle nostre vite Internet, dando un valore quantitativo prima inimmaginabile al concetto di hyperlink (brrr, che brivido: ho appena messo un hyperlink sull’hyperlink…).
Da allora sono passati parecchi anni, la mia stazza somiglia vieppiù a quella di Eco, anche se io mi sono fatto crescere la barba e Eco se l’è tagliata, e internet è diventata una pratica quotidiana. La mente ha ormai acquisito il concetto di hyperlink e spesso fisso la pagina del Domenicale, desolatamente inerte, cercando di cliccare un concetto poco chiaro, un tema da approfondire, un personaggio a me ignoto.
Lo stadio finale di questa grave patologia è giunto alla comparsa nella mia vita del famigerato iPhone.
Con uno smartphone in mano il mondo si è riempito di hyperlink. In pochi istanti puoi scoprire chi era Uwe Timm, recuperare il passo della Bibbia a cui fa riferimento Ravasi, ascoltare le canzoni recensite da Gommalacca, salvare su Anobii il libro da comprare. Altrettanto si può fare con tutto ciò che ci circonda, trasformando il nostro contesto in un ipertesto.
Pericoloso, no?
Il problema è che, differentemente dai nostri modernissimi dispositivi e dalla splendida Naima di Nirvana, noi non abbiamo uno slot dove inserire un’espansione di memoria, e il nostro cervello continua a riempirsi di informazioni, richiando una improvvisa e rovinosa saturazione. (Per noi teen-ager degli anni Ottanta, questo problema è acuito dalla parte importante della nostra memoria occupata da informazioni totalmente prive di utilità, quali i dati anagrafici della famiglia Dukes della contea di Hazzard, i tormentoni dei comici del Drive-In, i testi delle canzoni dei Duran Duran e il vero nome di Ron.)
Il timore è che, a un certo punto, il nostro cervello, messo alle strette, decida di fare spazio cancellando informazioni a caso. Pensate di svegliarvi un giorno ricordando l’indirizzo della Casa di Sergio Endrigo (via dei matti numero zero) ma non quello di casa vostra, ricordando la data del terribile terremoto in Armenia (7 dicembre 1988) ma non la data di nascita di vostro figlio, ricordando il nome di tutti e setti i nani (e anche dell’ottavo, e del nono…) ma non il nome del vostro collega che vi saluta sempre con grande cortesia.
Che disastro.
Forse dovremmo correre ai ripari, iniziare a selezionare gli input, essere più prudenti, smettere di cliccare come ossessi.
Non so voi, ma io non ci riesco, è più forte di me. Vuoi mettere il brivido di passare la notte a ricostruire le vicende di una remota regione dell’est europeo, scenario del romanzo che staremmo leggendo (se non stessimo navigando)? Vuoi mettere la libidine (eccoli, i terribili anni ottanta, che riaffiorano garruli) di conoscere l’intera geneaologia dei Tudor, l’elenco delle amanti i Picasso, l’enunciato del Principio di indeterminazione di Heisenberg?
Continuiamo quindi a cliccare e approfondire, impavidi o incoscienti, accatastando informazioni come certi matti che girano per la città con un carrello dell’Esselunga pieno di carabattole di cui loro soli comprendono il valore. Forse solo così, come loro, saremo a nostro modo felici.