Italia, 1948. La guerra è finita, il referendum del ’46 ha visto vincere di misura la Repubblica e il primo gennaio è entrata in vigore la Costituzione. Il 18 aprile si sono tenute le prime elezioni politiche della Repubblica Italiana, il paese è diviso ma forse al contempo unito come non è mai stato e come non sarà più. Grandi sono le sfide economiche, sociali e politiche. Intanto l’economia ricomincia lentamente a girare: c’è un paese da ricostruire.
Già, ma mentre lo ricostruiamo, dove mettiamo i nostri bambini?
Partendo da questa felice intuizione, il mio intraprendente nonno Angelo (detto Gino), decise di subentrare alla licenza di colonia estiva e al relativo contratto di affitto di un suggestivo quanto malmesso edificio scolastico in uno sperduto paesino di una valle minore della bergamasca, giusto ai piedi del Resegone.
Durante la prima estate, coniugando non so come questa nuova impresa con il suo impiego in banca, il nonno Gino con la fida, laboriosa, paziente (e bellissima) moglie Luisa, di quattordici anni più giovane, che aveva sposato due anni prima, accoglie nella neonata Colonia Resegone i primi quaranta bambini. E da Rota Imagna il nonno, originario del basso Lodigiano, scrive una cartolina alle signorine di Madignano, zie che a più riprese avrebbero ospitato anche i due figli.
La colonia funziona
a meraviglia con più di
40 bambini, noi tutti
bene. Affettuosità,
Gino e Luisa Casali.17.7.48
La cartolina, oltre al testo che ho trascritto qui sopra, riporta uno spartano indirizzo (solo nel mondo semplice delle campagne di allora si poteva pensare che con così poche indicazioni il postino avrebbe scovato le suddette signorine), l’annullo postale di Rota Imagna, due francobolli da tre lire e un timbro non del tutto leggibile dice qualcosa come “Cure Elioterapiche Resegone, Colonia a Rota D’Imagna”, ma soprattutto “Gestione: Luisa Casali Savoldi”, la cara Nonna Luisa, vera anima e motore instancabile di questa avventura.
Negli anni i bambini sarebbero aumentati, fino a diventare diverse centinaia. Al primo edificio se ne sarebbe aggiunto un altro, poi una casa, poi un altro edificio ancora, ceduto al Comune di Sesto San Giovanni, che lì mandava negli anni sessanta, anche in inverno, i figli dell’ondata migratoria che ne stava sostenendo l’incredibile sviluppo industriale. E alla colonia in proprietà se ne aggiunsero altre in gestione: oltre a quella di Rota, un’altra sempre per il Comune di Sesto sul mare dell’alta Toscana e una della Cassa Edile di Milano in Valsassina.
E così, nonostante l’impiego in banca poi abbandonato, il bar di via Foppa e un certo numero di altre bizzarre intraprese, questa è stata la principale attività di famiglia per quarantacinque anni, dal ’48 al ’93: in pratica due generazioni e mezzo (io sono il mezzo). Quarantacinque anni di bambini che vanno e che vengono, di giochi e di sport, di ginocchia sbucciate e grembiuli strappati, di pianti e di risate, di amicizie e di amori.
Si potrebbe raccontare dei due ragazzini milanesi, mia madre e mio zio, che si trovarono a frequentare le scuole di paese, con quello che ne consegue in termini di ricordi gioiosi e traumi infantili. Oppure di come a capodanno una nevicata galeotta fece incontrare la ragazza di città e il rustico montanaro aspirante architetto, radicando definitivamente in quella valle la nostra famiglia.
Si potrebbe raccontare dei tic, delle battute, dei tormentoni e delle bizzarrie delle migliaia di bambini passati di lì, di cui mia madre ricorda, inspiegabilmente, quasi tutti i nomi. Oppure si potrebbe dire dei (pochi) vizi e delle (molte) virtù delle ragazze e dei ragazzi che per anni passarono le loro estati a lavorare da noi, arrotondando il reddito famigliare, pagandosi un pezzetto degli studi o raccogliendo i soldi per una vacanza in libertà.
Insomma, difficile parlarne ora qui, che il Villaggio Resegone (come si è chiamato per l’ultima parte della sua vita) era una fonte inesauribile di storie, memorie, aneddoti e pettegolezzi. Racconti che ancora rubano la scena quando ci si incontra – volutamente o spesso casualmente, che da quelle camerate è passata mezza Milano – tra reduci del Villaggio, annoiando mortalmente (e alle volte stupendo e finanche ingelosendo) i malcapitati che si trovano ad assistere a queste sessioni di ricordi.
Qualcuno dice che ho uno strano carattere per essere un figlio unico, e che questo è dovuto alle mie centinaia di fratelli e sorelle estivi. Qualcun altro dice che in quella vita di forzata (e gradita) comunità affondino le radici una mia (supposta e tutta da dimostrare) abilità relazionale, chissà forse anche colpevole del mio destino più o meno politico. Di certo tra quelle brande e sulle scale, giù per i prati e su per il Resegone, di giorno e di notte, da bambino e da ragazzo ho scoperto grosso modo tutte le cose più importanti della vita. E se anche molto è avvenuto dopo, nulla sarebbe uguale se io non fossi io, e io non sarei io se non ci fosse stato il Villaggio Resegone.
Sembra incredibile, ma proprio oggi mia madre ha trovato on line su eBay questa cartolina, e per modici dodici euro spese incluse ci siamo ricomprati un pezzo di storia della nostra famiglia.