L’aeroporto di Rodi potrebbe vantare un record notevole: il ritardo medio alla partenza degli aerei è di oltre venti minuti. Dico potrebbe perché, nonostante il valore assoluto possa apparire ragguardevole, gli permette di collocarsi solo al secondo posto di questa speciale classifica: l’aeroporto europeo con il ritardo medio maggiore è infatti Roma Fiumicino (dati 2009). Ora non vorrei soffermarmi sulle patrie disgrazie, ma preferirei raccontarvi alcune cose di Rodi.
Dovete sapere che Rodi è, da molti anni, la meta privilegiata dei charter in partenza dal Regno Unito. Torme di ragazzotti britannici approdano ogni settimana sull’isola greca e passano i seguenti sette giorni a bere birra. Al momento della partenza vanno (o vengono portati) in aeroporto, fanno il check-in e, nell’attesa dell’imbarco, si prendono l’ultima sbronza. Circa uno su quattro all’imbarco non ci arriva proprio. Ma, poiché sono arrivati in aeroporto e il check-in risulta fatto, il volo si trova costretto ad attenderli e quindi specifici addetti partono alla ricerca dei dispersi per trascinarli sull’aeromobile, mettendoci mediamente una mezzoretta.
Alcuni anni fa sono stato in vacanza per una settimana a Rodi. Si trattava delle seconda settimana della nostra luna di miele. Quando abbiamo prenotato il viaggio, sopraffatti dalla stanchezza del lavoro e dei preparativi dello sposalizio, avevamo deciso di concederci una vacanza di pieno relax e avevamo quindi prenotato due settimane in due diversi alberghi del dodecanneso. La prima settimana, a Kos, addirittura full-board (mai più fatto, per ora, niente del genere, ma mai dire mai). A Rodi l’idea era di reiniziare a mettere il naso fuori. In effetti l’isola è vasta e molto bella e la città di Rodi è splendida.
Il centro storico, la Città vecchia, patrimonio dell’umanità UNESCO dal 1988, è una straordinaria collezione di monumenti di molte epoche e culture: le mura, il Collachio, l’Ospedale dei Cavalieri, il palazzo dell’Armeria, la Via dei cavalieri, il Palazzo del Gran Maestro e la Moschea di Solimano. Il tutto tessuto in una trama urbana di straordinaria bellezza.
Il problema sono le maglie del Tottenham.
Già, perché gli inglesotti di cui sopra, quando non sono riversi da qualche parte o a cuocere sulla spiaggia, passeggiano per le vie del centro storico acquistando paccottiglia turistica inenarrabile. Principalmente maglie di squadre di calcio. Principalmente inglesi.
E allora, preda di un istinto di sopravvivenza che va ben oltre il normale snobismo nei confronti del turismo di massa, scappi dalle vie principali in cerca di qualche tesoro nascosto. E può capitarti di imbatterti nella sinagoga Kahal Shalom. Entri, attraverso un portone di legno chiaro con intagliate le stelle di Davide, in un patio dal sapore andaluso. Incontri un signore gentile che in un italiano perfetto ti illustra, spontaneamente, la storia del luogo. E poi potresti, come me, complimentarti con l’accogliente signore per il suo italiano, e sentirti rispondere che, da bambino, i colonialisti italiani lo hanno costretto a impararlo, che lui ne avrebbe anche fatto a meno.
Ci sono momenti nella vita in cui contemplo con malcelato stupore la mia ignoranza. Ne osservo incantato la vastità abbacinante. E poi, redivivo Clark Griswold davanti al Gran Canyon della mia inadeguatezza, fletto le gambe e scappo via.
L’italia di inizio secolo, durante la guerra con la Turchia, decise di occupare questa manciata di isole dell’Egeo. Per la precisione, il 26 aprile 1912 occupò Stampalia e poi, via via, le altre isole; Rodi fu occupata per ultima, il 16 maggio. Il Dodecanneso fece parte del Regno d’Italia da allora fino al 1943 (ufficialmente fu italiano fino al 1947). Sinceramente, ne avevo un’idea alquanto confusa.
Prima ancora che potessi riprendermi dall’imbarazzo, entra nella sinagoga una signora ancora più anziana (che, grazie ai prodigi di internet, ho ora scoperto essere Lucia Sulam Modiano). I due iniziano a parlarsi in una lingua che non riconosco. Ma che comprendo abbastanza bene. Dopo aver scartato l’ipotesi di una conseguenza pentecostale della mia epifania di poco prima, rinunciato a qualsiasi pudore, chiedo al gentile signore che strana lingua stia parlando. Spagnolo, mi risponde. Ecco perché capivo. Ma non mi sembra somigliare allo spagnolo che conosco io. No, mi dice, in effetti è lo spagnolo che le nostre famiglie parlavano a Toledo prima di esserne cacciate alla fine del Quattrocento.
Orpo.
A inizio secolo la comunità israelitica di Rodi era composta da alcune migliaia di individui, per la gran parte sefarditi. Le prime famiglie emigrarono in cerca di fortuna nei primi decenni del secolo, trasferendosi negli Stati Uniti, in Sud America, in Congo, in Zimbawe. Alcune famiglie, raccogliendo l’appello del sionismo nascente, si trasferirono in Israele. Molti altri fuggirono tra il 1938 e il 1939, dopo la promulgazione delle leggi razziali fasciste. Il 18 settembre 1943, dopo dieci giorni di scontri conseguenza dell’armistizio, l’ammiraglio Inigo Campioni, governatore italiano, fu imprigionato e deportato e il governo effettivo del Dodecanneso passo in mano tedesca. Il 23 luglio 1944 i circa 1.600 ebrei rimasti sull’isola furono imprigionati. Il 16 agosto, dopo un viaggio terrificante, arrivarono a Auschwitz. Solo 120 donne e 30 uomini sono sopravvissuti al campo di sterminio.
Il signore gentile e Lucia Sulam Modiano sono forse gli unici ebrei sopravvissuti alla Shoa che sono tornati sull’isola. Lucia è mancata il 2 aprile 2010. Del signore gentile non ho altre notizie.
Ritornare tra le bancarelle della strada Sokratous non è stato facile.