Ogni anno, a Milano, arriva la primavera.
Sempre nello stesso periodo, dopo mesi di un grigio che ti fa dimenticare l’esistenza di altri colori, d’improvviso, inattesa, arriva la primavera.
Passata la stagione dei funghi a gas e dei dehor in cellophane, fioriscono per le strade photinie e tavolini. I giardini del centro si popolano di gessati e tacchidodici che si avventurano nell’erba per un pranzo al sacco. Stanchi automobilisti si riscoprono centauri, e centauri un po’ snob diventano subito ciclisti.
Anch’io, quando arriva la primavera, smetto la copertina da Gaucho della Pampa Padana e inforco la mia amata bicicletta.
Con il sole e la bicicletta giusta, i trasferimenti urbani che costellano le mie complicate giornate diventano piccoli piaceri clandestini, che ti gusti come una birra gelata raccattata di sfroso.
Per esempio, può capitarti un viaggio così.
Esci dall’ufficio nel pomeriggio che avanza e ti fai strada tra gli studenti, che si trascinano con aria trasognata e paiono anelare il lungomare ancora in letargo di una cittadina di mare per bagnanti di pianura. Tra l’altro, se stringi gli occhi, ti sembra di vederlo, in fondo alla strada, il mare. Oltre i binari: i gasometri, impermeabili a ogni retorica, che tra poche ore saranno protagonisti di una quotidiana quanto improbabile enrosadira della Bovisa, miracolo dei PM10 e di anni di idrocarburi incombusti.
Svolti l’angolo in piedi sui pedali e, anche se sai di non essere Superman, tutto sembra possibile con un sole così.
Passi tra le macchine ferme, come sempre, in un ingorgo senza capo ne coda, e pensi che non li invidi proprio, quelli chiusi li dentro.
Poi una delle poche salite di questa città liscia come un biliardo e ti trovi a galleggiare sopra ai binari con una vista incredibile che spazia dalle Alpi alla Madonnina, nonostante le patacche in stile Dallas che spuntano come funghi.
Con i piedi fermi (che non sei tipo da scatti fissi), in discesa i cuscinetti cigolano e accompagnato dal rumore plani sul Centro, che ti aspetta accogliente come una sala da ballo prima della legge Sirchia.
Superi il cantiere di una metropolitana dal colore primaverile e sorridi alle telecamere, che più eco di te non c’è nessuno.
Ai tavolini della Moscova aspiranti principesse senza Corona coabitano con anarchici incredibilmente sopravvissuti, ancorati all’angolo di un quartiere che non c’è più. Al semaforo, un tizio con casco bluetooth telefona gesticolando: probabilmente si pensa macho, ma pare più un Village People.
Lungo il marciapiede, una ragazza corre spaventata inseguita da un trolley minaccioso. Poco più avanti un taxista con le maniche rimboccate scalda i lombi affaticati sulla lamiera intiepidita dal sole di un’auto ibrida, potere delle energie alternative.
Rischi la vita per salutare un’amica che ancora si attarda su mezzi motorizzati fuori stagione, salti un turista giapponese e svolti l’ultimo angolo.
Il tempo di deridere mentalmente la mise da country gentleman dei dirimpettai e infili il portone della Fondazione.
Sei in ritardo, è ovvio, ma non hai bisogno di scuse: emani un a tale aurea tonica e ecologica (solo qualche stolto potrebbe scambiarla per sudore) che tutto ti sarà perdonato.
Pedalato ascoltando: Candy (Paolo Nutini), Little Lion Man (Mumford & Sons), Superman (Lazlo Bane), Tied Down (Colbie Caillat), I’m yours (Jason Mraz), New Soul (Yael Naim), Skeletons and Spirits (Allison Crowe), New Shoes (Paolo Nutini).
…e questa splendida playlist – deliziosamente fuori età – a cosa si deve? Alla presenza degli studenti trasognati, all'estasi dell'aria primaverile o alle endorfine sviluppate dalla pedalata? Tornato a casa, rimetti su Tom Waits, che c'hai un'età..
Tricca, che tu ci creda o no, è la mia playlist No.1 da bici… dici che sono patetico?!