La mia libreria

In cima alle scale, strategicamente collocata accanto alla porta del bagno, c’è la mia libreria.

Vent’anni di letture in circa sei metri quadrati.

Tutto è cominciato in modo un po’ casuale: tre giorni e due notti per leggere le oltre quattrocento pagine di “fondazione e terra” (Isaac Asimov), praticamente l’unico libro di fantascienza che abbia mai letto (o quasi).  Ma tant’è.

Con una stima approssimativa direi di aver letto da allora circa seicento libri, con un ritmo medio  abbastanza costante di un paio al mese.

Il difficile di una libreria di seicento volumi (in sostanza: né tanti, né pochi) è metterla in ordine. Attualmente convivono tre differenti criteri: alcuni ripiani ospitano un solo autore (privilegio concesso a Vázquez Montalbán, Camilleri e pochi altri), in alcune zone si raggruppano libri per aree tematiche o per lingua (libri in inglese, libri in spagnolo, letteratura di viaggio …); perlopiù, però, i libri sono raccolti per editore e per collana (o per forma e colore, che poi è uguale).

Osservando la libreria, l’altra sera, ho pensato che potrei catalogare le epoche della mia vita per collane editoriali.

Comincerei con i dorsi colorati e le righe diagonali dell’Universale Economica Feltrinelli: Jack Kerouac, Charles Bukowski, Stefano Benni, “Cambiare il mondo con i libri”. Era un’epoca di salopette e magliette batik, manifestazioni e collettivi. Eravamo ampiamente fuori tempo massimo, ma vallo tu a spiegare a un quattordicenne in piena tempesta politica e ormonale. Si trattava forse di fare i conti con un’eredità culturale, o di risolvere un Edipo, o di trovarsi una fidanzata… che ne so.

Unica interruzione consistente: i colori pastello della Piccola Biblioteca Adelphi; per darsi un tono, per filosofeggiare, per orientaleggiare, per indagare i pensieri degli impiegatini asburgici nell’Austria di fine secolo.

Poi l’incontro con Montalbán, che è ancora soprattutto Feltrinelli. La monomania si impone, salvo l’incursione di Pennac (sempre Feltrinelli). Certo ci sono stati i David Leavitt, gli Umberto Eco, i saggetti anarchici dell’Eleuthera, ma questo primo lungo periodo è profondamente segnati da Feltrinelli.

Saranno le eleganti, piccole coste in Ingres Cover blu de La Memoria Sellerio a interrompere l’accumulo feltrinelliano. Passaggio del testimone ufficiale, anche se un po’ tardivo, a Mantova nel settembre 1998: in un teatro strapieno durante la seconda edizione del Festivaletteratura Manuel Vázquez Montalbán incontra Andrea Camilleri. E io c’ero.

Poi arrivano i cannibali e la lunga serie di coste gialle di Einaudi Stile Libero. Vinci, O’Connor, Lucarelli, Cerami e i folgoranti Luther Blissett. Forse un po’ fashion victim, forse mi piacevano davvero… comunque: due ripiani.

Una parentesi, anch’essa gialla (di nome e di fatto), sono Le inchieste di Maigret Adelphi dedicata a Simenon.

A un certo punto si impone una vena sudamericana e insurrezionalista, il marlin de I narratori di Marco Tropea salta da Paco Ignacio Taibo II a Daniel Chavarría, a Leonardo Padura Fuentes fino a Colaprico e Valpreda. Certo, in quel periodo c’è anche Cacucci ad alimentare il ripiano Feltrinelli, ma l’immagine dominante è quella del pesciolone che vola sull’acqua e che fa molto Hemingway.

A un certo punto ho letto tutto Pinketts, anche se non ricordo bene perché, che insieme a qualche tradimento camilleriano, ha iniettato un po’ di Mondadori; ma certo gli Oscar sono i grandi assenti della mia libreria.

D’improvviso, qualche anno fa, Gregor von Rezzori porta in casa il buffo gufo della Biblioteca della Fenice di Guanda e arrivano Nick Hornby, Jonathan Safran Foer, Nicole Krauss e tanti altri.

Ultimamente la passione per Paul Auster è andata ad alimentare i Tascabili Einaudi, finora eroicamente presidiati da un solitario Queneau. Ma fatico, negli ultimi tempi, a cogliere una collana prevalente. Forse è la maturità, che porta a scegliere in maniera più eterogenea, o forse è solo una questione di prospettiva, e tra qualche anno saprò dirvi che collana sono oggi.

A proposito, questa è la mia libreria.

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