La luna sul villaggio

Originariamente pubblicato su Il Calibro.

La luna splende, grandissima, sul villaggio stasera. Dudù pizzica con maestria le tre corde del suo xalam. Dudù è un griot, un cantastorie, discendente di una famiglia di griot. Dudù, come i suoi avi, pizzicando le tre corde del suo xalam, tramanda le storie del suo popolo. Gli anziani, seduti tutt’intorno, muovono piano il capo, a ritmo. Una giovane donna guarda innamorata Dudù, forse è sua moglie. Anche i bambini guardano rapiti, con gli occhi grandi come la luna.

photo

Ma noi vorremmo raccontarvi di Mario. Questo è il suo villaggio. Non sappiamo come si chiami, quindi lo chiameremo Mario, come fanno i muratori bergamaschi con i loro manovali dai nomi complicati. Mario aveva lasciato queste poche, povere case molto tempo fa. Le aveva lasciate incamminandosi per un lungo viaggio che avrebbe visto nei piedi il mezzo principale di locomozione. Se ne era andato per sfuggire alla fame, alla povertà, alla snervante precarietà di un futuro incerto. Se ne era andato in una terra lontana e ostile.

Gli abitanti di quella terra lo disprezzavano e lo temevano. Se ne tenevano a la larga e lo insultavano. Lui viveva in una baracca con le sue povere cose e lavorava fino allo sfinimento. I soldi che risparmiava, che erano poi la gran parte del suo misero stipendio, li mandava a casa. Le giornate in quella terra lontana si susseguivano in una solitaria monotonia, la vita passava nell’attesa di poter tornare, un giorno, a casa.

Molti altri, dal suo villaggio e da quelli intorno, erano partiti, come lui. Alcuni per terre ancora più lontane, da cui non sarebbero più tornati; ci erano arrivati con navi cariche e, accolti su una piccola isola, avevano dovuto aspettare a lungo, reclusi, prima di poter entrare. Atri erano andati più vicino, con la speranza di non perdere del tutto il contatto con la terra natia.

Mario aveva lasciato a casa la famiglia e tornava quando poteva. Cercava di esserci almeno alla fine dell’estate, per portare quella grande statua di legno sui prati, cantando. E alla fine era tornato per rimanere. Stasera forse è lì, da qualche parte, tra il pubblico, seduto su una di quelle sedie di plastica, con il mento e le mani appoggiate al bastone di legno che lo accompagnava nei viaggi dolorosi verso la Svizzera.

Dudù Kouate ha suonato per noi sabato sera tra le case cinquecentesche di Arnosto, frazione di Fuipiano, tetto della Valle Imagna. Dudù è arrivato quassù grazie a Per Antiche Contrade, iniziativa straordinaria di Fulvio Manzoni che organizza piu’ di cinquanta concerti ogni estate, esplorando gli angoli più suggestivi della nostra valle. Valle di grande bellezza e di tanti errori, valle di boschi di faggio e di troppe case costruite, valle di emigranti e di figli di emigranti, a volte senza memoria.

Inizia a scrivere il termine ricerca qua sopra e premi invio per iniziare la ricerca. Premi ESC per annullare.

Torna in alto