La casetta in Canadà

Nei giorni di Pasqua sono stato in Canada per visitare mia figlia, che da otto mesi vive lì. Pur nella brevissima durata e inevitabile superficialità della visita, è un paese che mi ha colpito profondamente. Si percepiscono chiaramente gli esiti di una lunga stagione di governo del Partito Liberale, con una linea politica che – pur nella difficoltà di paragonare le tradizioni politiche di paesi diversi – in Italia potremmo chiamare di progressismo riformista, una sinistra liberale e pragmatica, capace di unire libertà civili e giustizia sociale, nella tradizione del liberalismo sociale nordamericano. Si percepiscono libertà, rispetto, apertura, non come slogan, ma come parte costitutiva del paesaggio umano. E per quanto sia un’osservazione empirica, soggettiva e non dimostrabile, si coglie davvero una certa felicità diffusa, un senso di equilibrio, quasi di quiete.

Eppure il paese ha vissuto, negli ultimi mesi, una crisi politica profonda, che ha portato alle dimissioni di Justin Trudeau, in drammatico calo di consensi, e a elezioni anticipate.

In questi mesi, anche in Europa, si è molto parlato della cosiddetta “woke fatigue” come possibile causa della crisi politica del Partito Liberale canadese e, più in generale, della stanchezza progressista in molte democrazie occidentali. Francamente, mi sembra una narrazione ideologica, funzionale a una destra che cerca di cavalcare una crisi proponendo soluzioni in realtà diametralmente opposte ai bisogni che quella stessa crisi rivela. In Canada, come altrove, le cause del malcontento sono economiche, materiali, legate alla fatica concreta del vivere quotidiano.

Passeggiando per Montreal, ho colto chiaramente la tensione che attraversa oggi molte città del mondo occidentale: la fatica di tenere insieme crescita urbana e coesione sociale, innovazione e accessibilità. L’accesso alla casa – e più in generale le prospettive economiche delle nuove generazioni, che erano la base elettorale naturale di Justin Trudeau – sono diventati il punto critico del consenso.

Le elezioni federali di qualche giorno fa hanno visto i Liberali guidati da Mark Carney (eletto nel seggio di Ottawa, proprio nel sobborgo dove vive Luisa) ottenere una vittoria significativa, sebbene senza raggiungere la maggioranza assoluta: 169 seggi su 343, a soli tre dalla soglia necessaria. Un risultato che segna una discontinuità importante ma anche una certa continuità. Carney non è un politico tradizionale, ma un economista, un uomo di istituzioni, capace di coniugare competenza tecnica e sensibilità pubblica. Il suo profilo ha probabilmente rassicurato un elettorato stanco, che non ha però ceduto alle lusinghe populiste.

Questo risultato è stato favorito anche dal fallimento dei Conservatori nel capitalizzare la crisi del governo uscente. Pierre Poilievre, leader inizialmente dato per favorito, ha perso il suo seggio a Carleton e ha pagato il prezzo di un’eccessiva vicinanza alla retorica trumpiana, che ha finito per alienare ampi settori di elettori moderati, soprattutto in Ontario. Il Canada, pur diviso e attraversato da tensioni, sembra ancora reagire agli estremismi con una certa lucidità civile.

Il risultato modesto dell’NDP, che pure avrebbe potuto rappresentare l’alternativa naturale per i giovani delusi, racconta a sua volta la difficoltà delle sinistre a costruire proposte credibili nel tempo dell’incertezza. Jagmeet Singh ha perso il proprio seggio e si è dimesso. La sua parabola politica, pur generosa, non è riuscita a trasformare la protesta in proposta. E questo dice qualcosa anche su di noi.

Oggi, seppure appesantiti dalla necessità di un governo di minoranza, i Liberali rimangono alla guida del paese in una fase delicatissima. Mark Carney avrà il compito di difendere e aggiornare un modello che ha saputo produrre inclusione e benessere, ma che oggi deve affrontare le diseguaglianze crescenti, la pressione dei mercati, la sfiducia delle nuove generazioni.

Sarebbe utile osservare questo passaggio anche da questa parte dell’Atlantico, dove le democrazie europee, Italia compresa, sembrano ogni giorno più esposte allo stesso bivio: conservare ciò che è stato conquistato, rinnovandolo senza tradirlo, oppure cedere alla scorciatoia della semplificazione rabbiosa. Il Canada, con la sua storia recente di apertura e di equilibrio, può ancora insegnarci qualcosa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Inizia a scrivere il termine ricerca qua sopra e premi invio per iniziare la ricerca. Premi ESC per annullare.

Torna in alto