Era chiaro fin dalle premesse che in questo blog si sarebbe parlato a Van Vera. Questa volta, però, avrei intenzione di esagerare. Avrei pensato di intrattenervi con una riflessione filosofico-psicologica.
Per fortuna, la maggior parte dei filosofi e degli psicologi che conosco sono persone troppo serie per perdere tempo su Facebook e blog vari. L’unico filosofo che credo legga questo blog è sempre stato molto indulgente con le mie improbabili incursioni in questi campi. Quindi: vado.
Oggi vorrei esternarvi le mie riflessioni sulle modalità classificatorie dei bambini, base dei loro primi azzardi linguistici. Userò come esempio i comportamenti delle ultime settimane del mio ignaro figlio minore. Vi garantisco che avvengono cose strabilianti.
I bambini, dopo un po’ che si guardano in giro, a un certo punto, improvvisamente, decidono il nome delle cose.
Per gli animali, di solito usano una loro arbitraria interpretazione del verso. Per il Michi, babau è il cane. Sembra ovvio, ma non lo è. Come fa il Michi a capire che il cane che passa per strada è babau, sia che si tratti di un bassotto che di un pastore tedesco? E in fotografia? E i disegni? Il Michi ha delle calze dell’HM che riproducono solo orecchie e occhi di un cane, come cavolo fa a riconoscerlo?!
Evidentemente i bambini sono dotati di categorie che gli permettono di identificare con estrema chiarezza alcuni caratteri distintivi di ciò che osservano, e quindi di classificarli. Cosa mai farà di un cane, un cane? le quattro zampe? La coda? Le orecchie? La dimensione? Difficile dirlo. Come fanno a distinguere un cane da un gatto? È incredibile, perché non sbagliano quasi mai (anche se una volta, la Luisa piccolina, davanti ad un gigantesco alano, si mise a schioccare la lingua come faceva quando vedeva i cavalli).
A volte le classificazioni dei bambini non sono completamente allineate con quelle dei grandi. Per esempio per il Michi naonao sono i gatti ma anche i conigli. Osservazione tassonomicamente forse non corretta, ma condivisa da molti osti dell’area prealpina.
Nelle classi dei bambini a volte sembrerebbe prevalere un’attitudine morfologica. Sempre secondo il Michi, tatà sono le automobili, nome deciso seguendo un complesso percorso mentale degno della sua austriaca madre e che non starò a raccontarvi qui, se non dicendovi che la sirena dei pompieri, in Austria, fa “tatü-tata, tatü-tata”. I treni, come è ovvio, ciufciuf. Ma camion e autobus, quando superano una certa dimensione (o forse un certo numero di ruote) passano da tatà a ciufciuf. Mica male, no?
La cosa più strabiliante avviene però con papà, mamma, u (=Luisa), nonno e nanna (=nonna). Queste sono autentiche categorie interpretative in grado di fare ordine nel caos.
Per esempio: il Michi ama molto un libro che la Luisa mi ha fatto leggere centinaia di volte e che saprei recitarvi a mente, come Benigni la Divina Commedia. Si tratta di “Camion Cino va in città” della bravissima Emanuela Bussolati. Il Michi guarda una pagina di questo libro che rappresenta una supposta scena urbana, e rapidamente, al primo sguardo, decide che l’orso con il grembiule che si affaccia al balcone è “nanna”, che un cane che legge il giornale al semaforo è “nonno”, che un gatto che guida la macchina è “papà”, e così via. Non è stupefacente? E si può fare con qualunque gruppo di figure o di oggetti: mattoncini Duplo, paperelle, macchinine…
Ora, non fatemi dire cose che non so, o che ho solo sentito dire. Lasciate che mi bei con malcelata arroganza della mi profonda ignoranza. Lasciate che mi stupisca felicemente di tutto questo.
Pare che Picasso abbia detto che ha “impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”, ed è forse una delle frasi più malinterpretate (e citate a sproposito) dell’arte moderna. Ma quando osservo il Michi ragionare mi capita di pensare che vorrei imparare a ragionare come un bambino.
Tronando a Emanuela, un’esperienza assolutamente consigliata e a suo modo catartica è leggere ad alta voce (possibilmente, ma non per forza, a un bambino) Tararì tararera. Provateci, ne vale la pena.
Anche per Alessandro che vive in Belgio e sente italiano, francese e spagnolo il cane è BABAU (è la versione valdimagnina di bau bau??),e non l'orribile francese wuf wuf, il treno ciufciuf invece la macchina è l'italiana brum-brum. Quando saluta dice a seconda delle volte "TAO" o "OVUAR" per au revoir o "BAI" per bye bye. Per parlare di sè dice AE (ALE) o APO (per guapo) o ME o IO.
TA è l'acqua o la bicicletta. Tutti i signori con i capelli bianchi o con l'aria un po' trasandata – tipo con paraorecchie o cappello strano – o vestiti sportivi sono "nonno":))