Il vuoto nel vaso: la didattica di Ugo Rivolta

Dice Lao Tsè , in risposta a Celeste o dell’eresia:
“Di creta si fanno i vasi
ma il vuoto in essi
è l’essenza del vaso.
Mura con finestre e con porte fanno la casa
ma il vuoto in esse 
è l’essenza della casa.”

Il rapporto di Ugo Rivolta con la didattica è da considerarsi sicuramente anomalo e profondamente segnato dai suoi valori e dalle sue convinzioni, disciplinari e civili: basti ricordare la reazione assai poco lusingata che mostrava quando veniva chiamato “Professore”, preferendo di gran lunga l’appellativo “Architetto”. Benché avesse coronato la propria carriera di studente con una breve collaborazione ai corsi di Gio Ponti e Ernesto N. Rogers, alla fine la scelta fu per un impegno totale nella professione, prima con i più rinomati studi milanesi, soprattutto i B.B.P.R., e poi in proprio. I lunghi anni da progettista furono comunque sempre segnati da una particolare attenzione alla ricerca, si pensi in particolare al lavoro sull’edilizia scolastica o su quella residenziale pubblica, e da un continuo contatto con il mondo accademico milanese, soprattutto attraverso la compagna di vita e di lavoro Matilde Baffa, che aveva, al contrario, investito molto nell’esperienza didattica.

Nel 2000, nel contesto della creazione del nuovo piano di studi per la laurea triennale in Scienze dell’Architettura all’interno della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano a Bovisa, si decise di istituire al primo anno un corso assente nel resto del panorama didattico italiano: il Laboratorio di Progettazione dell’Architettura degli Interni e dell’Allestimento. Per offrire questo nuovo corso si decise di chiamare a raccolta anche risorse esterne alla facoltà stessa, offrendo la possibilità a professionisti di grande esperienza di trasmettere le loro conoscenze agli studenti. Tra questi fu chiamato Ugo Rivolta che, all’età di settantuno anni, si ritrovò, sostanzialmente per la prima volta, dall’altra parte della cattedra.

In questi anni l’organizzazione della didattica aveva assunto particolari caratteristiche che favorirono la convivenza tra un metodo docente assai poco ortodosso e le forme ufficiali della Facoltà. Il Laboratorio di Progettazione degli Interni, a frequenza obbligatoria, prevedeva una giornata alla settimana di lavoro (formalmente 12 crediti, divisi tra una parte principale di Architettura degli Interni e due integrazioni, una di Tecniche della Rappresentazione e una di Fondamenti di Disegno Automatico) e un numero massimo di cinquanta studenti, con un rapporto tra docenti e discenti abbastanza favorevole. Non ultima va annoverata, tra le condizioni che favorirono l’approccio di Rivolta, la possibilità di lavorare con gli studenti del primo anno, particolarmente ricettivi e aperti. Nell’avviare il corso Ugo Rivolta ereditò molta dell’esperienza didattica di Matilde Baffa, soprattutto integrando nel nuovo corso parte dei suoi collaboratori. Allo stesso tempo impose però fin dall’inizio un metodo di lavoro molto personale che aveva nella pratica del disegno in aula, nello studio fortemente operativo dei maestri del moderno e nella maniacale attenzione per il dettaglio i suoi fondamenti.

La questione principale affrontata alla nascita del corso fu la perimetrazione dei temi progettuali relativi all’architettura degli interni in modo da costruire una specificità evidente per gli studenti. Mentre da un lato era perentorio il proposito di sradicare la sinonimia fra architettura degli interni e arredamento o – peggio – decorazione d’interni, d’altro canto era ancora da esplorare l’area di competenza praticabile compresa fra quella del disegno industriale e quella del progetto architettonico in senso stretto. Allo stesso tempo la convinzione dell’unità del fare progettuale al di là delle specializzazioni, e la necessità di trasmetterlo agli studenti come un principio fondamentale, hanno consigliato di affrontare vari livelli di approfondimento progettuale raccontando le permanenze che qualsiasi processo compositivo mette in campo, riuscendo, in alcuni casi, a organizzare un rapporto diretto con gli esercizi, le aree e le modalità del laboratorio di Progettazione Architettonica.

La didattica del corso è sempre stata fortemente influenzata dall’urgenza di trasmettere i fondamenti della professione, con grande attenzione per il valore etico e civile del lento costruirsi del sapere disciplinare. La tecnica didattica, applicata da tutti i collaboratori che costituivano il fondamentale tramite tra gli studenti e il docente, prevedeva un rapporto discorsivo con lo studente, in cui l’orizzonte era il progetto più che il metodo, e la discussione si sviluppava sulla base del disegno come strumento di comunicazione: il riferimento implicito era quello della formazionedi bottega, in cui il docente mostra il suo personale approccio alle questioni compositive e lo studente porta le sue cognizioni, inevitabilmente più istintive che culturali trattandosi di studenti del primo anno.

Quello che non può essere descritto da queste poche parole è il rapporto di straordinaria umanità che si stabiliva con gli studenti, per niente usuale nel rapporto fra docente e allievo: ogni rimostranza veniva risolta con tranquillità e comprensione in un clima che intendeva responsabilizzare ogni singolo studente verso il proprio percorso. Le poche e lunghe revisioni individuali di Ugo Rivolta, in cui si parlava e si disegnava molto, facevano venire in mente la frase di Louis I. Khan per cui “l’insegnamento ha avuto inizio quando un uomo seduto ai piedi di un albero si mise a discutere, senza sapere cosa fosse un maestro, con persone che ignoravano a loro volta di essere scolari” (A. Latour a cura di, Louis I. Kahn. L’uomo, il maestro, Ed. Kappa, Roma 1986)

Il percorso all’interno del laboratorio era articolato secondo tre fasi: il rilievo, il progetto della casa e il progetto di allestimento.

Fin dal primo giorno si richiedeva di raccontare con il disegno l’aula in cui ci si trovava, per rompere immediatamente il ghiaccio con il foglio bianco; negli ultimi anni questo esercizio d’apertura era stato sostituito con il ridisegno di parte dell’appartamento di monsieur Charles de Beistegui sugli Champs-Elysees, progettato da Le Corbusier nel 1930. 

Ugo Rivolta ha sempre insistito per iniziare il rapporto con gli studenti attraverso gli esercizi di rilievo che permettessero il contatto diretto con l’oggetto, la costruzione e i materiali, con l’intento di scardinare i preconcetti con cui gli studenti del primo anno si avvicinano al progetto. A partire dalla seconda giornata di laboratorio si iniziava quindi il percorso del rilievo vero e proprio, rilevando e disegnando prima una sedia (ne venivano portate in aula varie, tra cui la  Wassilly di Marcel Breuer, una classica sedia Thonet, la Red and Blue di Gerrit Rietveld, The Ant di Arne Jacobsen, la sedia Milano di Aldo Rossi)  e proseguendo con il rilievo – sempre dal vero – e il ridisegno in aula di alcuni corpi scala  progettati dai grandi architetti milanesi prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale (tra le altre, la scala principale dell’Università Bocconi di Giuseppe Pagano e quella del Padiglione d’Arte Contemporanea di Ignazio Gardella, la scala elicoidale del Palazzo dell’Arte alla Triennale di Milano di Giovanni Muzio).

In preparazione del progetto vero e proprio era stata poi introdotta anche una esercitazione di ridisegno, dove gli studenti, a partire da una propria ricerca bibliografica, dovevano ridisegnare una residenza,  assegnata sulla base di un elenco che comprendeva oltre cinquanta ville singole realizzate tra il 1920 e il 2000 – da Le Corbusier a Rem Koolhaas – nelle medesime scale e nei medesimi elaborati che avrebbero poi prodotto per raccontare il loro progetto.

Seguiva a questo punto la prima delle due esercitazioni di progetto, quella dedicata al tema della residenza. Fin dal primo anno di corso Rivolta aveva deciso di formulare un tema di progetto centrato sul concetto di Loft; questa scelta, lontana da suggestioni legate a mode culturali o immobiliari, nasceva da precise considerazioni progettuali. In primo luogo si riconosceva a questa particolare forma di residenza/lavoro il vantaggio di scardinare le forme spaziali consolidate nell’immaginario degli studenti, obbligandoli a ricostruire un rapporto forma-funzione assai più complesso e vario di quello sperimentato nella loro vita quotidiana. In secondo luogo il legame con la storia specifica del Loft Movement forniva il pretesto per la costruzione di un rapporto diretto arte-architettura, tema questo assai caro a Rivolta.

La scelta di una esercitazione finale dal tema completamente diverso, e piuttosto desueto in questa Facoltà, faceva capo sia a valori intrinseci alla disciplina che a necessità di completezza didattica che il tema dell’allestimento risolve con efficacia. Il richiamo alla denominazione tradizionale del corso di architettura di interni, che fin dall’origine è associato in Italia a quello dell’allestimento, era forse solo il pretesto per una scelta che si motiva nella specificità di un tema che, pur possedendo le caratteristiche di un progetto di architettura, è più facilmente affrontabile dagli studenti del primo anno a causa di implicazioni statiche e tecniche molto semplificate. L’approccio con i materiali e i nodi costruttivi è più intuitivo e richiede una fase propedeutica assai più limitata. Nonostante un’iniziale avversione degli studenti, che si trovano spiazzati da un tema completamente sconosciuto, il progetto di allestimento ha negli anni sempre rivelato la sua validità nel far comprendere la ricaduta materiale delle meditazioni progettuali. Negli ultimi anni alla parte strettamente progettuale di questa esercitazione si era aggiunto un aspetto più teorico-critico: agli studenti veniva assegnato un famoso designer, in qualche modo rappresentativo del carattere del corso stesso (negli anni si è lavorato su Achille Castiglioni, Bruno Munari, Enzo Mari, Joe Colombo, Charles e Ray Eams, Alvar Aalto), a partire dallo studio del quale gli studenti dovevano proporre una curatela per l’esposizione della sua opera selezionando opere, temi, immagini e materiali.

All’attività progettuale erano affiancati altri strumenti fondamentali per la comunicazione dell’architettura: le lezioni, la lettura di testi teorici e critici e l’esperienza diretta di architetture di interesse.

Le lezioni organizzate da Rivolta costituivano l’occasione in cui maggiormente e più evidentemente era presente il richiamo all’unità disciplinare, ma anche l’incitamento verso dei riferimenti extra-disciplinari che stimolassero nello studente la formazione di una cultura variegata e completa. La dimostrazione delle possibili relazioni fra il progetto architettonico e la pittura, la scultura e altre forme di espressione, aiutavano anche a liberare la creatività degli studenti e a stimolarli verso un’interdisciplinarità sempre lenta a svilupparsi. La forma delle lezioni era assai distante dall’idea che la stessa parola suggerisce, avvicinandosi piuttosto a quella del racconto, non privo di lunghe divagazioni, che Rivolta faceva a partire da una sequenza di immagini raccolte con oculata attenzione rispetto agli obiettivi da raggiungere.

L’attenzione che Ugo Rivolta poneva rispetto alla completezza della formazione dell’architetto si rifletteva nella scelta di assegnare a ciascuno studente dei testi teorici e critici da leggere e raccontare. Durante il periodo tra la prima e la seconda esercitazione, veniva chiesto agli studenti di leggere due libri (assegnati dalla docenza) che venivano poi discussi in piccoli gruppi, ciascuno guidato da uno dei collaboratori. Ha sempre sorpreso la capacità di comprendere in profondità testi anche molto complessi che emergeva tra gli studenti, forse in ragione della forte motivazione che Rivolta sapeva dare e del metodo piuttosto informaledi restituzione delle proprie riflessioni rappresentato dalla discussione tra pari.

Grande importanza nella costruzione dell’esperienza didattica del Laboratorio avevano infine i viaggi di studio e le visite di architettura. Ogni anno in più di un’occasione si usciva dall’aula insieme: per visitare le aree di progetto, per il viaggio di studio vero e proprio e per altre visite di architettura nella città. Il viaggio di studio costituiva una presa di contatto con il vero materiale di lavoro dell’architetto, lo spazio, molto spesso sorprendente per gli studenti, curiosamente legati a un modello concettuale, quasi umanistico, della pratica progettuale. I viaggi, costruiti come la visita a edifici famosi, di solito conosciuti solo sulla carta, ma anche – o soprattutto – come la ricerca di architetture di qualità poco note o addirittura la scoperta di luoghi sconosciuti, riuscivano immancabilmente a scatenare la curiosità e a svegliare un sorprendente spirito critico negli studenti. In questo senso si sono rivelate assai efficaci le visite guidate a studi di architettura o a realtà progettuali inaspettate. Una ulteriore possibilità di rapporto con la realtà che negli anni si è chiarita ed è stata sfruttata, è stata la concomitanza fra la settimana del Salone del mobile di Milano e l’inizio dell’esercitazione finale sull’allestimento temporaneo.

I cinque anni in cui il Laboratorio di Progettazione dell’Architettura degli Interni coordinato da Ugo Rivolta ha potuto svolgersi hanno lasciato un segno importante nelle persone – studenti, collaboratori, colleghi –  che hanno avuto la fortuna di incontrare questa esperienza. Il venerdì la porta dell’aula C.T. 21 rappresentava per molti, soprattutto per gli studenti degli anni precedenti che tornavano con frequenza a “fare visita” al laboratorio, il passaggio a un luogo in un certo modo altro, quasi uno scampolo di una facoltà di altri tempi: benché il confronto con la contemporaneità, tanto architettonica quanto culturale, fosse continuo e senza riserve, la forma della didattica aveva tempi e modi che sembravano emergere da un mondo diverso, più pacato e riflessivo, forse più lento, verrebbe da dire più elegante. Ugo Rivolta riportava in aula con naturalezza, senza forzature ideologiche, i temi dei suoi maestri: la misura, la passione per il dettaglio e per la matericità dell’architettura, il rapporto con l’arte, la chiarezza del procedere del progetto, la passione per il progettare con intelligenza; Le Corbusier, Aalto, Rogers, Albini, Scarpa. Il carico di lavoro del Laboratorio non era certo modesto, ne Rivolta particolarmente prodigo con i voti, eppure gli studenti apprezzavano molto questo corso – pare lo consigliassero ai nuovi venuti – probabilmente perché Rivolta esigeva da ogni studente maturità e responsabilità, dando in cambio comprensione e rispetto, perché pretendeva che gli studenti fossero, almeno quel giorno alla settimana, almeno per quel po’ che gli era permesso dalla loro formazione ancora agli inizi, nient’altro che architetti. 

Originariamente pubblicato in: C. Nepote, A.Rossari (a cura di) Ugo rivolta. Disegni e costruzioni, Araba Fenice, Boves, 2008.

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