Rassicurato dal ritorno al governo della Democrazia Cristiana, il senatore della Repubblica Giulio Andreotti abbandona sereno questa valle di lacrime. Contro ogni previsione, è morto democristiano.
Patrice Leconte, regista francese non dei più noti (autore del bellissimo Il marito della parrucchiera, con una sempre sensuale Anna Galiena), raccontava in Ridicule le vicende del marchese Grégoire Ponceludon de Malavoy, nobile di provincia e ingegnere idraulico, che parte alla volta di Parigi, animato delle migliori intenzioni, per proporre al Re un ambizioso progetto di bonifica. Giunto nella capitale, scopre una corte dedita al motteggio, alla battuta di spirito, alla canzonatura. Il marchese, in un difficile equilibrio tra cinismo e grandi ideali, cerca di farsi strada, grazie a un indubbio talento oratorio, tra cortigiani e governanti. Da spettatore, al veder crescere nel procedere del film l’abilità di Ponceludon, ti chiedi continuamente: sopravviveranno i suo obiettivi ai mezzi usati per perseguirli?
La dipartita del Divo Giulio ha scatenato sui social media un fiorire di battute argute, di cinici motti di spirito, di sagaci calembour (in esergo il mio modesto contributo alla tenzone). Questo pare, più in generale, uno degli usi più efficaci del cinguettio da 140 caratteri, della risposta all’invadente domanda a cosa stai pensando?, ormai perfino delle didascalie alle foto auto-artistiche.
Le migliori menti di una generazione si esercitano nella nobile arte settecentesca della presa-per-il-culo telegrafica. Ci sono amatori e professionisti, eclettici e monotematici, noti e sconosciuti. Ogni evento di una minima rilevanza genera un #hashtag che produce un flusso continuo di arguzie, battute e freddure. Più tragica la circostanza, più macabro il riferimento, più politically uncorrect il modo, tanto meglio. Memorabile fu la sequenza che segui la pubblicazione della telefonata tra Francesco Schettino, comandante della Costa Concordia, e il capitano di fregata Gregorio De Falco della Capitaneria di Porto di Livorno nella tragica notte del 13 gennaio 2012. L’hashtag era #torniabordocazzo.
Non posso certo negare che questa pratica mi appassioni. Mi diverte leggere le sequenze di battute e, alle volte, contribuire. Mi colpisce l’intelligenza di certe affermazioni, l’ardire dei costrutti, la padronanza lessicale; alla faccia dei periodici piagnistei per la morte, pare prossima e inviabile, della nostra lingua scritta.
Rimane il dubbio, però, che il Divo l’abbia avuta vinta. Se c’è mai stato un re delle battute argute, dei cinici motti di spirito, dei sagaci calembour, beh, quello era lui. Ne ha formulati a centinaia, spesso divertenti, sempre sagaci, alcuni entrati nel parlar comune del nostro paese, alle volte davvero agghiaccianti. Temo sarebbe fiero del vuoto e divertito cinismo di chi si diletta oggi a motteggiare sul suo cadavere ancora fresco: questa, forse, è la sua Italia.