Anche quest’anno, come ogni anno in occasione delle Feste, ho dato fondo a tutti i riti propiziatori accumulati in questi primi quasi-quarantanni di presenza nel mondo. Ho comprato i regali pochi minuti prima di Natale, ho preparato (e mangiato) il Latte a la creme, ho ballato il valzer a mezzanotte subito dopo aver brindato, ho fuso lo stagno per scoprire cosa mi aspetta, ho mangiato le lenticchie (nonostante gli scarsi risultati di questi ultimi anni).
E ho seguito, spaparanzato felice e satollo sul divano, il Neujahrskonzert dei Wiener Philharmoniker, diretti come nel 2011 da un garbato Franz Welser-Möst.
Chiacchierando con i deliziosi anfitrioni di questo nostro secondo capodanno a Wolfsberg, si ragionava da profani sui diversi stili di conduzione dell’orchestra. E mi è venuto in mente un incredibile TED a questo proposito, consigliatomi a suo tempo dall’inesauribile Pozzo. In questo video, Itay Talgam, direttore d’orchestra israeliano brillantemente convertitosi al coaching di manager e imprenditori, confronta gli stili di conduzione di Herbert von Karajan, Riccardo Muti, Carlos Kleiber, Richard Strauss e Leonard Bernstein, desumendone alcune interessanti considerazioni sulle modalità (e sull’efficacia) dei diversi stili di leadership. Talgam è un oratore brillante, divertente, preciso e coinvolgente, e questo video è davvero un ottimo esempio di formazione di qualità, come del resto molti video di TED. Tutti disponibili in rete in alta qualità, con sottotitoli in decine di lingue e la possibilità di essere scaricati. Gratis.
La mia carriera scolastica non è stata delle più brillanti, caratterizzata sopra ogni cosa dal famoso refrain “il ragazzo è intelligente, ma non si impegna” (affermazione sicuramente vera, ma anche alibi di una scuola incapace di motivare un ragazzo poco votato al sacrificio ma capace di grandi slanci). La situazione è andata migliorando negli anni, ma anche all’università la media del trenta raggiunta nei corsi di progettazione era gravemente compromessa dai ventitré e ventiquattro accumulati nelle materie noiose o di dubbia utilità. Ciò nonostante, non accontentandomi di essere giunto indenne e sostanzialmente in tempo fino alla laurea (se mi perdonate un piccolo fuoricorso per godermi almeno la tesi), dopo una piccola pausa passata a fare il bidello in un asilo (tra gli ultimi cui è toccato fare il servizio civile), ho deciso di farmi pure un dottorato di ricerca.
Tra le molte cose che ho letto nel condurre la mia ricerca di dottorato (che ha portato a una prestigiosissima pubblicazione) c’era un interessante testo del finlandese Pekka Himanen.
La tesi di fondo di questo lavoro era che la diffusione della rete e, più in generale, l’Era dell’Informazione, avrebbe portato con sé i valori etici e culturali dei sui creatori, ovvero gli hackers degli anni Ottanta e Novanta. Tali valori sono, secondo Himanen, l’esito della fusione tra la cultura accademica dei pionieri dell’informatica (soprattutto legata all’ MIT), incentrata sul principio di condivisione delle informazioni in una comunità (meritocratica) di pari, e i valori della contro-cultura degli anni Sessanta. Il giovane filosofo finlandese enumerava quindi alcuni capisaldi di questa cultura: passione, libertà, coscienza sociale, verità, antifascismo, anti-corruzione, lotta contro l’alienazione dell’uomo, eguaglianza sociale, accesso libero all’informazione (cultura libera), valore sociale (riconoscenza tra simili), accessibilità alla rete, attivismo, responsabilità e creatività.
La componente più evidente dello svilupparsi di queste culture è il fenomeno dell’Open Source (termine peraltro abusato e spesso frainteso) o, meglio, la meno nota vicenda del mitico Richard Stallman, della Free Software Foundation e delle licenze GNU GPL da cui, sostanzialmente, deriva tutto il mondo dei Creative Commons.
Ad oggi sarebbe difficile affermare che Pekka Himanen avesse ragione. L’impianto generale della nostra società e della nostra economia è lungi dal possedere la condivisione, la meritocrazia e l’apertura invocata dai primi hackers (soprattutto nel nostro disgraziato Paese…), il diritto d’autore è sempre più uno strumento di potere e sempre meno una tutela per i creatori e la libertà in rete è sotto perenne rischio di importanti limitazioni.
Sarebbe però altrettanto insensato sottovalutare l’importanza dei fenomeni di condivisione del sapere che si stanno affermando, con modalità e secondo principi assai differenti, in tutto il mondo. Basti pensare allo straordinario archivio di video formativi messo a disposizione da TED Conferences, alla sconfinata quantità di materiale didattico di altissima qualità condiviso dalla rete delle Open educational resources (tra i cui contributori c’è, forse non a caso, proprio l’MIT), al fenomeno per molti inspiegabile di Wikipedia, al movimento dei makers, dei Fab Lab e della comunità nata intorno a Arduino e al fenomeno dell’open hardware in generale.
Volendo (e vogliamo) iniziare l’anno con un po’ di ottimismo, si potrebbe sostenere che la micidiale crisi che sta attanagliando l’economia globale possa (e debba) essere l’occasione per tentare nuova strade. Tra queste io credo ci debba essere quella della condivisione del sapere. Nella profonda inutilità che caratterizza il mio stare al mondo, da tempo contrassegno la mia produzione intellettuale (come questo blog) con la licenza BY NC SA di Creative Commons.