il Paolone fenice

Ho iniziato a scrivere questo blog nel gennaio di due anni fa. Come spiegavo allora, l’ho fatto per dare sfogo a pensieri che inopportunamente si affollano nella mia mente, cercando così di liberarmene. Ho scritto con una certa regolarità per due anni e, con il passare delle settimane, ho guadagnato un numero insperato di affezionati lettori. Per i due Natali trascorsi ho autoprodotto un piccolo libretto che raccoglieva i post dell’anno in corso e l’ho regalato a amici e parenti. Ho scritto soprattutto di me, ma anche un po’ di quel che succedeva là fuori: il post più letto raccontava di una piccola allucinazione visiva avuta guardando un aspirante sindaco in tivù.

Dall’inizio di quest’anno, però, il blog è quasi completamente sparito. Un po’ perché scrivo molto anche per lavoro, e questo ha assorbito molte delle mie energie narrative. Un po’ perché lavoro troppo in generale, e rimane poco tempo per tutto il resto. Ho provato anche a scusarmi e a ripromettermi di ricominciare, ma poi di nuovo silenzio. Così ho pensato che un blog nato per dare libero sfogo a un bisogno dovesse naturalmente estinguersi se quel bisogno non c’era più (o non era in grado di farsi largo tra altre e più pressanti priorità).

Succede però che, come in una novella di Pirandello o in un film di Woody Allen, i prodotti di questo luogo immateriale si affaccino inattesi alla realtà. Basta che io scriva dell’importanza dei boeri che mi vengono regalati a Natale perché una scatola nuova nuova di boeri fuoristagione compaia nella mia cucina. Oppure mi scrivono su facebook giovani amici presentandomi un nuovo (bel) blog, con l’orgoglio con cui si presenta la fidanzata carina al vecchio zio scapolone. E poi capita di incontrare colleghi che ti salutano con stupefacente calore; ma non stanno salutando te, stanno salutando il Paolone.

La verità è che il Paolone mi manca. In questi giorni difficili, per esempio, sono sicuro che lui avrebbe qualcosa di arguto e saggio da dire sull’intricata e scoraggiante situazione politica del nostro paese.

Tra l’altro, inizio a comprendere chi scrive sotto pseudonimo. Non si tratta, come credevo, di celare la propria identità (che tanto prima o poi tutti conoscono), quanto piuttosto di costruire lo spazio per una versione traslata di sé, più sincera, o più divertente, più sagace, magari più estremista o più volgare, a volte più intelligente. Insomma, migliore. O, comunque, necessaria.

Il Paolone mi manca, dicevo, perché fa ordine nei miei pensieri, perché è come l’amico secchione e gentile che ti sprona a migliorarti senza farti sentire inadeguato, perché è il modo di vincere le timidezze che non hai mai confessato (e a cui gli altri non credono…). Non è facile, per me, fare a meno del Paolone. Allora speriamo in un Paolone fenice che rinasca e torni presto. Magari fa piacere anche a voi.

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A proposito, io adoro i film dove realtà e finzione si confondono. Woody Allen, certo, ma anche le sceneggiature di Charlie Kaufman o il delizioso Ruby Sparks che Zoe Kazan si è scritta per sé e anche l’intricato Vero come la finzione (ma chi cavolo traduce i titoli?!). A proposito, ne conoscete altri da consigliarmi (o da consigliare al Paolone)?

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