I libri del 2022

Eccomi anche quest’anno a raccontarvi i libri che ho letto, avendo scoperto che per alcuni i voi questo è un appuntamento gradito e non potendo dunque tradire questa inattesa e gratificante aspettativa.

Il mio anno di letture su Goodreads

L’anno è iniziato con Andrea Bajani e il suo Libro delle case. D’altronde, come resistere a un titolo così? Il libro mi è piaciuto, anche se un po’ spigoloso, e ci ho trovato molte affinità: generazionali, sicuramente, ma anche di sguardo, di interessi e di indulgenze. E poi c’è quel po’ di Torino che ormai è un ingrediente fondamentale delle mie letture come della mia vita.

Sono poi passato a Valérie Perrin e al suo celebratissimo Cambiare l’acqua ai fiori. L’ho letto con qualche fatica ma non posso dire che non mi sia piaciuto: è molto ben scritto, delicato, avvolgente. Qualcosa però non mi ha convinto del tutto. Un conoscente assai esperto e affilato l’ha definito, con una espressione forse politicamente scorretta ma molto efficace, un “libro per femmine”.

Ci sono alcuni scrittori che per ragioni diverse leggo immediatamente, appena esce un nuovo libro. Uno di questi è sicuramente Alessandro Robecchi, di cui ho subito letto Una piccola questione di cuore. Il libro prosegue i personaggi e i temi della serie di Monterossi, in un registro efficace e avvincente, con Milano sempre protagonista. Altrettanto vale per Joe R. Lansdale, che è tornato in libreria con Moon Lake. Uno strano libro, scritto con la maestria cui Lansdale ci ha abituato, ma arrotolato su una trama contorta e poco probabile. Non il miglior Lansdale, quindi, ma comunque una ricca messe di paesaggi straordinari, metafore folgoranti e pagine piacevolissime.

Un altro scrittore che aspetto sempre con ansia è Don Winslow, che con la Città in fiamme posa il primo mattone di una nuova, ambiziosa trilogia. Questa volta siamo nel New England di fine Novecento e seguiamo le gesta di criminali italiani e irlandesi. La scrittura, il meccanismo narrativo, i personaggi, la ricostruzione dell’ambiente fisico e sociale, del linguaggio, delle abitudini: è tutto strepitoso come sempre e fa perdonare questa mania degli scrittori americani che, giunti a una certa fama e una certa età, si sentono sempre inevitabilmente in dovere di confrontarsi con i classici (in questo caso, con ogni evidenza, niente meno che l’Iliade).

Con Matteo Strukul invece ho un rapporto difficile: ho grandissimo interesse e rispetto per il suo modo determinato di essere non-italiano – per dirla con Stanis La Rochelle – ma la sensazione è che a questo percorso manchi sempre un ultimo pezzettino. Ne Il cimitero di Venezia c’è il giallo storico, il protagonista famoso (nientemeno che il Canaletto nell’inedita veste di investigatore), i colpi di scena, la violenza dei noir americani… il tutto si legge con piacere, ma non convince fino in fondo. Ma fa bene Strukul a provarci e riprovarci, e noi gliene siamo grati e continueremo a leggerlo.

Prima dell’estate ho letto Blitz, di David Trueba. Prima di tutto, una confessione: l’ho letto per un colossale equivoco… in partenza per un agognato week-end lungo a Mallorca, volevo leggere qualcosa ambientato nell’isola (in passato l’avevo fatto proprio con il Trueba di Tierra de Campos, con grande piacere). Beh, mi sono trovato nella crisi di mezza età di un architetto della mia generazione, fallito con determinazione, perso in una gelida Berlino e rinato tra le braccia di una signora tedesca di una certa età… a leggere la sinossi, non credo che mi sarei avventurato. Ciò detto, Trueba ha molti doni: quello di una scrittura raffinata e tagliente, quello della spietatezza nel ritrarre le debolezze delle persone e quello di farti incazzare solennemente, come solo il miglior Baricco. Insomma, un libro che si può tranquillamente evitare di leggere, ma che mi ha comunque fatto compagnia, divertito e anche fatto pensare. A proposito, il protagonista alla fine arriva a Mallorca, e ci rimane le ultime tre pagine del romanzo.

A proposito di Baricco che ti fa incazzare, nel mio viaggio nell’animo torinese non poteva mancare Davide Longo, di cui ho letto, nel corso dell’anno, i quattro volumi della saga di Arcadipane e Bramard: Il caso Bramard, Le bestie giovani, Una rabbia semplice, La vita paga il sabato. Potrei ingenerosamente trattenermi su alcune cose con non mi convincono del tutto, in particolare su un eccessivo indugiare nelle frasi a effetto, un po’ come se l’autore cercasse deliberatamente momenti instagrammabili. Ma la verità è che i libri mi sono piaciuti molto: sono efficaci e divertenti ma anche vasti e profondi. Ricordano la migliore tradizione del giallo sociale europeo e latino: i Montalban e i Montalbano, i Padura Fuentes e il miglior Lucarelli (con buona pace del sopracitato Baricco, che attribuisce all’incolpevole Longo la responsabilità di unico rappresentante sul globo terraqueo del giallo letterario…).

Poi sono tornato in America con Jason Mott, che ci consegna un libro veramente bizzarro, non a caso titolato Che razza di libro! È abbastanza complesso e faticoso entrate nella macchina narrativa che Mott ha congegnato, ma quando ci entri non ne esci più. E, alla fine, intuisci anche la necessità di costruire una struttura così barocca per parlare dell’indicibile. Una vera esperienza, toccante e potente.

Christopher Moore non si discute: appartiene per me alla categoria dell’amore incondizionato e punto. Con Shakespeare per scoiattoli il mio beniamino americano prosegue il suo viaggio lisergico nella rivisitazione delle commedie del drammaturgo di Stratford-upon-Avon: dopo Il mercante di Venezia e Re Lear, è la volta de Il sogno di una notte di mezza estate. Non si può dire altro, Moore è come il Marmite, you either love it or hate it, e io amo entrambi.

Il tizio di prima, quello del “libro per femmine”, mi ha consigliato la lettura de Il mago del Cremlino di Giuliano da Empoli, libro affascinante e avvincente, reso imprescindibile dalla successiva evoluzione del quadro internazionale. Con la leggerezza di un romanzo, lo scrittore e studioso ti porta alle radici del Putinismo con la chiarezza e la lucidità di un saggio di geopolitica. Da leggere per capire (almeno un po’). Un’amica sostiene da tempo che dovrei leggere Alan Bennett. Disperando che prima o poi l’avrei fatto, mi ha regalato Nudi e crudi e io ne sono rimasto folgorato. Pura meraviglia. Ho quindi proseguito con La cerimonia del massaggio e sono eccitato all’idea che un’intera bibliografia mi aspetta. Evviva dunque amici e conoscenti che consigliano e regalano libri!

Proseguendo il viaggio nella natura torinese e piemontese, un passaggio obbligato era naturalmente Beppe Fenoglio di cui ho scelto di leggere La paga del sabato, convinto da una bellissima conferenza del solito Baricco (eh, ma allora è un’ossessione, direte voi… probabilmente sì, rispondo io) disponibile on line. Il libro mi è piaciuto e mi ha colpito molto la sua straordinaria modernità e, a discapito di un apparente localismo, per la sua universalità. Forse anche per questo ha contribuito meno di altri alla mia indagine…

Nel 2022 è uscito finalmente anche un nuovo libro di Wu Ming, naturalmente subito acquistato – in stazione a Trieste di ritorno da un interessante e spiazzante convegno sull’impresa sociale – e letto voracemente, in gran parte proprio su quel treno deserto del sabato pomeriggio attraversando l’Italia da est a ovest. Non è facile giocartela, quando tutti ti ricordano sempre quale dannato capolavoro fu il tuo primo libro, ma Ufo 78 ce la fa, spiazzando come sempre. C’è la meticolosa ricostruzione storica, anche se di un’epoca molto vicina, c’è la politica e ci sono i giudizi moraleggianti che solo a Wu Ming e a pochi altri perdoniamo, c’è l’amore un po’ sbilenco, ci sono le passioni e le debolezze dell’uomo. Insomma, tutta la summa luther-blissett-wu-minghiana. E c’è un’inaspettata e affascinante Torino, che rafforza la sensazione di essere prigioniero consenziente di una incredibile congiura. Lettura, insomma, godibilissima.

Verso la fine di questo 2022, NN ha pubblicato il secondo romanzo di Kent Haruf, chiudendo con questo la traduzione dell’intera opera dello scrittore americano. La strada di casa è un libro bellissimo, come tutti gli altri: potente e delicato, avvincente e quieto, agrodolce come la vita. Difficile pensare che Haruf non c’è più e nulla di nuovo accadrà nella Contea di Holt.

Il pendolarismo di questa mia nuova vita sull’asse Milano-Torino mi ha fatto riscoprire il Kindle. Qui ho letto Il ritmo di Harlem di Colson Whitehead, libro avvincente e ben scritto come sempre, anche se forse un po’ meno potente della Ferrovia sotterranea e dei Ragazzi della Nickel. Deludente assai la traduzione del titolo (Harlem shuffle è molto, molto di più di un ritmo, oltre che essere il titolo di una canzone che amo molto dei Rolling Stones), ma non era facile e poteva pure andare peggio, basta pensare al capolavoro di Colum McCann, finalmente ri-edito con un titolo sensato. E poi, già che mi ero riappacificato con questo dispositivo del tardo capitalismo, ho concluso l’anno seguendone il famigerato algoritmo, fidandomi del “a chi piace questo è piaciuto anche” e ritrovandomi così prigioniero dell’Hotel Metropol di Mosca in compagnia del conte Rostov, Un gentiluomo a Mosca che nasce dalla penna delicata e sapiente di Amor Towles. Un bel libro – anche se un po’ artefatto – piacevole, coinvolgente, tenero, sofisticato: un ottimo esempio di intrattenimento colto, molto apprezzato in questo momento parecchio incasinato della mia vita.

Questo è quanto, per il 2022, sperando che anche l’anno che verrà porti buone letture e un po’ di tempo per pensare. Come sempre, i libri letti, in lettura, che vorrei leggere, che non leggerò mai e che compulso regolarmente li trovate sul mio profilo di Goodreads, dove spero di incontrarvi. Auguri a tutti!


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