Il leggendario culo-di-pietrismo che caratterizza le mie scelte di vita, di cui già vi ho detto nel post di settimana scorsa, mi ha permesso, tra le altre cose, di conservare una compagnia di amici di vecchia data, nata ai tempi del liceo e consolidatasi, con alcuni nuovi acquisti, nei primi anni di università.
Alcuni anni fa (molti, forse troppi, insomma: dieci), quando il primo componente di suddetta compagnia decise di sposarsi, ci trovammo nel dilemma di come festeggiare tra maschietti il lieto evento. Decidemmo così di declinare a nostro modo l’usanza dell’addio al celibato [n.d.a.: il link precedente è da usare a proprio rischio]. Ho memoria vaga e confusa di quel finesettimana (e già questo la dice lunga), ma mi sembra di ricordare una partita a calcetto, un lungo viaggio in motorino, grandi mangiate e grandi bevute.
Nacque così una tradizione che abbiamo tenuto viva nel tempo. Anno dopo anno ne abbiamo combinate di tutti i colori: folli viaggi on the road in pulmino, auto, moto, perfino in camper; ci sono state terme scalchignate e parapendio, biciclettate e camminate, rafting e guerra simulata, disfide a ogni sport più improbabile; il tutto sempre condito da abbondanti libagioni.
A un certo punto, però, si è presentato un problema: ormai eravamo tutti sposati e la tradizione rischiava di estinguersi. In quel momento abbiamo avuto un’illuminazione e abbiamo deciso di conservare questa usanza, anche senza l’alibi dell’addio al celibato.
Sono per l’appunto reduce da questo appuntamento annuale, nella fattispecie un weekend pseudo-adolescenziale a Ibiza che, sebbene privo di risvolti sportivi, ha richiesto comunque una notevole resistenza fisica. Per molti e buoni motivi, nulla vi racconterò di quanto avvenuto in questi giorni. Mi soffermerò su un dettaglio assolutamente irrilevante: l’uso dei social network.
Non so quanto sia rappresentativa questa mia compagnia di amici, ma posso dirvi che i sette componenti presenti questa volta si dividevano esattamente a metà (sorprendente, visto che erano in numero dispari…). Infatti possiamo considerare tre di loro (tra cui il sottoscritto) utenti dei social network, almeno di facebook. Altri tre invece si tengono lontani da questi strumenti infernali. Il settimo, non si sa se per convinzione o per amor di simmetria, si colloca al centro, possedendo un account facebook che, però, usa davvero poco.
Accanendosi i primi tre (invero, due più del terzo) a documentare on line i momenti e i luoghi più memorabili, sotto lo sguardo severo dei restanti, è stato inevitabile confrontarsi sul tema. Non se ne avranno, spero, i miei carissimi (e molto stimati) amici se riporterò qui le loro opinioni, cercando di non travisarle (più che non aversene, non se ne accorgeranno, visto che non frequentano… al più lo scopriranno al prossimo Natale).
Dei tre obiettori, bisogna dire, uno si limita alla resistenza passiva, nulla eccependo sullo strumento in sé e limitandosi al completo disinteresse. Il secondo, al contrario, pare molto incuriosito (anche se nega), ma dichiara che nel suo ambiente la reputazione rischierebbe di risentirne; temo che, da questo punto di vista (e anche da altri), il mio ambiente sia assai meno serio(so). Il terzo infine prende chiare posizioni e, se un poco provocato, emette sentenze senza appello.
Saremmo, a suo dire, un branco di esibizionisti insicuri e autoreferenziali in cerca di approvazione. Diciamo che il suo enunciato e le sue argomentazioni erano un po’ più raffinati, ma il succo era questo. E il tizio ne sa, che lavora coi cervelli. Invano abbiamo tentato di argomentare la nostra posizione, raccontando di musica e libri scoperti grazie a facebook, del fluire di notizie spesso più libere e tempestive che nei canali tradizionali, delle amicizie logisticamente svantaggiate tenute vive anche grazie a questi portentosi strumenti.
Nulla da fare: il giudizio è risultato inappellabile. Solido al punto da metterti il dubbio: e se fossimo davvero così? E se davvero vivessimo preda del desiderio irrefrenabile di raccontare i fatti nostri? E se davvero agissimo con l’unico scopo di ottenere l’ambito pollice alzato? Possibile. Ma non probabile.
Forse esiste una linea sottile e cruciale tra esibizionismo e condivisione. Forse abbiamo semplicemente voglia di dire in giro che l’ultimo album di PJ Harvey è fenomenale e che quella certa mattina una canzone di Jack Johnson ci ha salvato dalla depressione, gettandoci in un salvifico stato allucinatorio. Forse recensiamo i nostri libri preferiti perché grazie alla recensione di qualcun altro abbiamo aggiunto nuovi autori alla nostra biblioteca. Forse ci piace guardare le foto di un amico su Instagram semplicemente perché sono belle.
 
Forse, dicevamo, esiste una linea sottile e cruciale tra esibizionismo e condivisione. Forse quella linea passa per la volontà di chi riceve le informazioni, la volontà di chi è venuto spontaneamente a vedere come stavamo o dove eravamo, cosa stavamo ascoltando o cosa avevamo da dire. Perché non andiamo in giro per la rete con un metaforico impermeabile da spalancare all’occorrenza. Perché siamo curiosi, sociali, alle volte un po’ pettegoli ma con una gran volgia di imparare e di capire. Perché ci piacciono i nostri pari ma ci piace anche curiosare tra le cose più diverse, perché è divertente sapere e capire. Con buona pace di chi non è interessato.