La fine dell’estate è il momento sbagliato per ricominciare a lavorare.
La pioggia sferza impertinente le giacche leggere, esibizionistiche, portate con sprezzo del tutto cosciente delle condizioni meteorologiche, e tocca tornare a casa fradici, bisbetici e quasi artritici. Le ragazze, appena rientrate, necessitano mostrare con abbondanza le giovani membra abbronzate rigirandosi, con paziente costanza, sulle spiagge e sugli scogli del Salento o di Camogli. Gli autisti di colpo distratti da tanta grazia esibita sgranano gli occhi stupefatti rimirando la mise striminzita: centrano quindi l’enorme pozzanghera, innaffiando una ciclista dall’aria mutanghera.
Per fortuna, c’è il MiTo.
Anche a Gigi (che in realtà non sappiamo come si chiami davvero, ma che chiameremo cosí) piace quando c’è il MiTo. Con tutti questi spettacoli in teatri diversi ci sono un sacco di luci da montare e da smontare, e lui quello fa nella vita: montare e smontare. Certo, se si esclude il fatto di suonare, ma mica ci si campa con quello. Almeno non lui. Almeno non ancora. E cosí si monta e di smonta, e si pagano le vacanze fatte a debito.
Da alcuni anni segno apposito appuntamento sul mio calendario digitale multi-sincronizzato e, in un sabato di fine giugno, mi siedo davanti al computer armato di carta di credito e compro biglietti a più non posso. Poi, ma solo poi, procedo a pubblicizzare l’evento. Questo mi ha finora permesso di partecipare a concerti bellissimi, in buona compagnia, a prezzo modico e, quasi sempre, in prima fila.
La cosa peggiore sono le fiere, una rottura di palle pazzesca. La settimana della moda non è male, con tutta quella gnocca che ci gira intorno. Peró quelli sono tutti dei montati e ti trattano di merda, almeno fin che non gli servi per qualche rifornimento speciale. Ma Gigi non è mica il tipo, giusto qualche canna ogni tanto. Si, va beh, abbastanza spesso. Beh, sempre meglio delle sigarette, no? E il fuorisalone, bella sola pure quella! Sempre tutto all’ultimo minuto, con ‘sti fighetti di architetti che sembra che ce l’hanno solo loro. E poi, al MiTo, puoi vederti i concerti dall’alto della tua postazione, per un musicista è come stare in paradiso.
Il piacere più grande è, forse, andare agli spettacoli con i bimbi: cinque Euro a biglietto e una ricchezza che fa pensare alle capability di cui si paralava qualche settimana fa. Quest’anno, abbiamo visto il Concerto in Si be-bolle al Piccolo Teatro Studio, un assolo con trio per pianoforte e bolle di sapone, di e con Michele Cafaggi; e VERSI X VERSI al Teatro San Babila, con il meraviglioso e istrionico Roberto Piumini e Debora Mancini, Eloisa Manera, Nadio Marenco, Cristina Crippi, Andrea Pozzoli e Saul Beretta che raccontano storie bizzarre; e Delitto allo zoo al Teatro Leonardo da Vinci, Opera-balletto giallo-comico in un atto con la simpaticissima Giulia Nervie e la mimetica Holly Matyas (e il coro di voci bianche Mikron diretto da Paola de Faveri e Carlo Lo Presti e Alberto Occhiena).
La cosa più bella, ve lo dico io, sono gli spettacoli per i bambini. Voi non potete capire cos’è vederli dall’alto, quando guardano col naso all’insù e la bocca aperta, rapiti dalle immagini e dalla musica. Oppure quando commentano a voce alta tutto quello che succede, e ridono come matti, e dicono “oh” e “ah”. Quasi quasi ti verrebbe voglia di farli anche tu (e gli spettacoli, e i bambini).
Per grandi, quest’anno ho invece visto l’omaggio a Piazzolla Hace 20 Años, con Daniele di Bonaventura e il Vertere String Quartet, in conseguenza del quale mi è venuto da ragionare sul bandonòn; e poi, al grandioso Teatro Manzoni, Michel Portal con Pasquale Mirra, Harrison Bankhead, Hamid Drake. E un indimenticabile Luci della città con colonna sonora dal vivo nell’emozionante auditorium dell’edificio delle Grafton architects per la Bocconi.
Non che poi sia male sentire il tango, o quel mago di Michel Portal. Sempre dall’alto della tua nuvoletta. E ti studi la loro tecnica, ti godi le loro facce, e i versi cha fanno e gli sguardi che si scambiano.
La serata più incredibile, anche quest’anno vista con la mia mogliettina, il Tricca e il Barbo, è stata quella di Paolo Fresu e Uri Caine. C’era Paolo Fresu con la sua tromba, il suo flicorno, i suoi effetti questa volta particolarmente sobri e i suoi elegantissimi pantaloni per nulla sobri, anzichenò. C’era Uri Caine al pianoforte, sincopato e meraviglioso, che, seduto per qualche minuto al Fender Rhodes ci ha fatto impazzire. E poi c’era l’Alborada String Quartet (con gli arrangiamenti di Giulio Libano) e poi il quintetto di Fresu con Tino Tracanna, Roberto Cipelli, Attilio Zanchi e Ettore Fioravanti.
Ma l’altro giorno, quasi quasi mi giocavo tutto. Ero lì, appollaiato sulla mia americana che mi godevo le acrobazie di quel trombettista sardo con le braghe strane, e mi piglia quella voglia di fumare che ti sembra di svenire. Ma ho imparato da tempo cosa fare: mi rollo una bella sizza e, solo a prepararla, mi sento già meglio. Son li, con le gambe a penzoloni come quei tizi sull’Empire Building e mica mi scappa di mano la cartina?
Mentre ascoltavamo rapiti le note meravigliose del sardo e dell’americano,con tutto il supporto del quartetto e del quintetto, una grandissima farfalla inizia a scendere la centro del palco volteggiando piano piano.
Voi dovevate vedere la faccia della gente quando la cartina svolazzante è planata al centro del palco, sembravano i bambini al concerto con le bolle. Se mi va di culo non mi licenziano neanche sta volta.
È stato memorabile, e meritava un Paolone.