Due anni in dieci minuti

Gli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri di Torino hanno deciso di festeggiare in grande, alla Sala delle Fucine delle OGR, il centenario della loro fondazione. E hanno deciso di invitare, per un breve intervento, anche il sottoscritto, chiedendomi di parlare di quello che stiamo facendo per costruire la Torino di domani. Non è facile raccontare in dieci minuti due anni di lavoro, ma è un esercizio interessante. Qui trovate, messo giù in maniera un poco più ordinata e completa, quello che ho detto.

Torino è una città intrappolata da oltre un decennio in una stagnazione evidente, una città che ha iniziato a perdere abitanti alla fine degli anni settanta (come la gran parte delle città europee) e che, salvo una lieve flessione positiva a inizio millennio, continua ad avere un saldo negativo, anno dopo anno (qui la differenza con altre città europee, anche vicine). Una città che fatica a trattenere i talenti che attira e le imprese che vede nascere. Eppure al contempo, e con ogni evidenza, Torino è anche una città ricca, sostanzialmente sana, pianificata con cura nel tempo e cresciuta ordinatamente. Abbiamo iniziato a chiamare questo fenomeno il Paradosso Torinese. L’obiettivo di questa Amministrazione, e conseguentemente della sua politica di governo del territorio, non può che essere rompere questo circolo vizioso e liberare il potenziale e le energie che la città senza dubbio contiene.

Intanto, Torino cambia, sta già cambiando. 

Come sapete, con lo stanziamento di un miliardo di euro del governo Draghi abbiamo completato (per un totale di 1,828  miliardi) il finanziamento dei primi due lotti della Linea 2 della metropolitana: 10  chilometri, 13  fermate, da Rebaudengo fino al Politecnico, da nord a sud. Anche in sinergia con i lavori in corso del Servizio Ferroviario Metropolitano, uno straordinario miglioramento della rete della mobilità pubblica veloce della città (che su questo, non possiamo negarlo, è rimasta molto indietro), ma anche l’occasione per riequilibrare i territori e di dotare la città di nuovi spazi pubblici, a partire dalla sistemazione superficiale del Trincerone.

Nel frattempo, nel Palazzo Nervi di To Expo al Valentino ci sono scavatrici e operai. Con una combinazione di finanziamenti pubblici che porta a un totale di 156 milioni di euro e con un progetto di Rafael Moneo e di Studio Isola, vincitore di una gara nel 2016, lì arriveranno la Nuova Biblioteca Civica, il rinato Teatro Nuovo, verrà restaurato il Borgo Medioevale e il parco stesso e verrà reintrodotta la navigazione turistica fluviale.

Con una cifra simile di investimento, questa volta però non della città ma di fondi privati e in parte ministeriali, si è avviato il processo di riqualificazione della Cavallerizza Reale. Un compendio straordinario di oltre 40.000  mq, oggi proprietà di molti e diversi attori che lì porteranno una molteplicità di funzioni: nuovi spazi della città tra cui un teatro sperimentale nel Maneggio Alfieriano, un Polo delle Arti per i nuovi corsi congiunti dell’Accademia di Arti Drammatiche e del Conservatorio con tanto di residenza studentesca, nuovi spazi per l’università, la sede della Fondazione Compagnia di San Paolo e un albergo realizzato da Cassa Depositi e Prestiti. Il progetto della sede di Compagnia e degli spazi pubblici che torneranno a città è stato oggetto di un concorso di progettazione, aperto in due gradi, con una prestigiosa giuria internazionale che ha visto protagonisti della seconda fase il meglio dell’architettura europea e vincitore l’architetto Cino Zucchi. Nel frattempo proseguono le progettazioni delle altre parti, coinvolgendo i premi Pritzker Lacaton & Vassal, destinatari di una menzione speciale al concorso, e professionisti di primo piano della città e non solo.

A proposito di concorsi, di recente è stato lanciato un altro concorso internazionale, aperto in due gradi, per il progetto della riqualificazione di Manifattura Tabacchi. Anche in questo caso la trasformazione è sostenuta da una compagine ampia di attori, questa volta però tutta pubblica: Demanio (che ne è il proprietario e il promotore), Città, Regione, Università e Politecnico, EDISU, Ministero della Giustizia e Ministero della Cultura si sono uniti per dare un futuro a questo compendio meraviglioso. Il concorso prevede l’incarico di progettazione per la parte di intervento che è già finanziata e la realizzazione di un masterplan generale che permetterà di proseguire con la costruzione del quadro di investimenti necessario a completare la trasformazione.

Altri investimenti, più ridotti e puntuali ma in notevole quantità, riguardano lo spazio pubblico. Anche il lavoro di cui vi dirò tra poco che stiamo facendo sul nuovo Piano Regolatore ci ha indicato con chiarezza la centralità di questo aspetto. Su questo Torino ha una grande tradizione che va ripresa e innovata. 

Nel complesso, la città sarà oggetto nei prossimi anni di una mole di investimenti che non hanno pari nel recente passato, superiori anche a quelli della stagione olimpica. La mappa che vedete, sommario riassunto delle trasformazioni in corso e che comprende solo investimenti decisi e certi, ci racconta di una Torino che sarà realtà tra il 2026 e il 2030, praticamente domani. Non possiamo non pensare che questa colossale trasformazione, atterrando su una città forse sonnolenta e stagnante ma sicuramente solida e sana come Torino, non possa non innescare un cambiamento fondamentale della città.

Questa è la sfida più grande per il nuovo Piano Regolatore Generale: raccogliere questi investimenti e fare in modo che non si limitino ad essere ben realizzati, ma che diventino l’innesco per una riqualificazione generalizzata della città. Come sapete bene, Torino ha un piano regolatore molto vecchio, in vigore da quasi trent’anni e concepito ancora prima. Un piano regolatore eccezionale, che ha accompagnato la città in un passaggio delicatissimo e che ci consegna oggi un tessuto urbano ordinato e sano. Ma anche un Piano regolatore che ha subito 340 varianti e che ha perso da tempo sia la sua spinta che la sua relazione con la realtà fisica, economica e di vita della città.

Fare un nuovo piano nel contesto di una legge urbanistica regionale antiquata è una sfida complessa, ma non impossibile, una sfida che abbiamo deciso di accettare. Ma avremo bisogno dell’aiuto di tutti, soprattutto perché la città torna a interrogarsi sul proprio futuro per la prima volta dopo tanto tempo. Per questo, partendo dalle linee di indirizzo approvate in Giunta la primavera scorsa, stiamo conducendo una intensa campagna di confronto con il territorio, con i cittadini e con i portatori di interesse, per definire insieme le linee di lavoro che ci porteranno alla Torino che vogliamo. Dopo questi primi mesi, ne abbiamo individuate alcune.

Le città di successo in Europa e nel mondo hanno da tempo superato l’ossessione per un’unica vocazione e hanno imparato a fondare la propria prosperità su un insieme di linee di lavoro. Qualità della vita e turismo. Cultura e formazione. Terziario e servizi. Ogni componente deve contribuire alla ricchezza della città. Ci sono poi caratteristiche specifiche che si trovano in certi territori: pensiamo che Torino non possa che essere la città dell’innovazione. Di un’innovazione profondamente radicata nella realtà e nell’industria, nella produzione e nella manifattura. Già molti casi in città dimostrano che questo è possibile e vanno difesi e moltiplicati. 

Sappiamo che ormai la stragrande maggioranza degli abitanti del nostro pianeta vive nelle aree urbane. Quindi, se vogliamo incidere significativamente sul rapporto tra l’umanità e il pianete che abita, dobbiamo occuparci di città. Negli anni passati abbiamo ridotto l’impatto ambientale della città: in questo senso molto è stato fatto e molto ancora si può fare (e lo faremo, anche tramite il Piano). Se però alziamo lo sguardo al futuro, non possiamo che accettare la sfida di un nuovo paradigma urbano, un paradigma che supera l’opposizione tra città e natura e concepisce la città come ecosistema. Si tratta di uno sforzo politico e tecnico importante, ma anche della costruzione di un nuovo immaginario di città che sia condiviso da tutti i cittadini. Una sfida meravigliosa.

Torino può e deve essere una città equipotenziale. Una città dove nascere, crescere, vivere e lavorare in un quartiere piuttosto che in un altro non sia una penalizzazione. Intervenendo sulla mobilità e sullo spazio pubblico, sui servizi e sulla sicurezza, contrastando il degrado ma anche i fenomeni di gentrificazione,  possiamo riequilibrare i territori e rendere l’intera città vivibile e attrattiva.
La qualità sociale e materiale della città è il patrimonio più cospicuo che riceviamo in eredità e immaginare una città che aiuta ogni suo cittadino è l’uso migliore che ne possiamo fare.


Questo è quello che abbiamo capito finora e ciò su cui stiamo lavorando. Una visione di città che esce dalla stagnazione e che guarda un nuovo tipo di sviluppo, equo e sostenibile. E quindi l’ambizione di predisporre uno strumento che la accompagni superando le impostazioni del passato, tanto quelle della legge regionale degli anni Settanta quanto quelle del PRG degli anni Novanta. Uno strumento, il nuovo Piano Regolatore Generale, che immaginiamo innovativo, flessibile e resiliente. 

  • Uno strumento dotato di un adeguato e innovativo apparato conoscitivo su cui fondare, con coerenza, le scelte di governo del territorio, a partire anche e soprattutto da un’idea nuova di cittadini (parafrasando Forrest Gump, ci piace dire che cittadino è, chi il cittadino fa). 
  • Uno strumento che si raccorda sinergicamente con la pianificazione sovraordinata e con quella settoriale, rendendo più veloci e agili gli iter approvativi senza per questo ridurre la qualità dei risultati.
  • Uno strumento che coltivi l’ambizione di condurci a una città più sostenibile, prevenendo in maniera efficace e positiva il rischio di nuovo consumo di suolo, creando le premesse per trasformazioni che migliorino l’assetto ambientale della città esistente con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita di tutti i cittadini e di sostenere gli impegni già presi dalla città per raggiungere la neutralità climatica, contrastando le cause dei cambiamenti climatici e al contempo incrementando la resilienza ai loro effetti. 
  • Uno strumento che contribuisca in maniera sostanziale a riequilibrare i territori della città, rigenerando aree e interi quartieri oggi degradati migliorando la qualità dello spazio pubblico e l’efficacia della mobilità pubblica, offrendo adeguate condizioni di accessibilità universale e soddisfacendo il diritto alla casa, anche e soprattutto in relazioni a bisogni nuovi e complessi.
  • Uno strumento che includa al suo interno processi partecipativi innovativi e meccanismi di monitoraggio e implementazione dei mutamenti.
  • Uno strumento che conduca verso una visione evolutiva e qualitativa piuttosto che statica e  quantitativa delle dotazioni urbane. 
  • Uno strumento capace di cogliere il dinamismo delle trasformazioni, attraverso dispositivi moderni ma collaudati (la perequazione, l’indifferenza funzionale, la valutazione di coerenza, il convenzionamento delle trasformazioni e qualità dei rapporti pubblico-pubblico e pubblico-privato). 

Uno strumento abilitante che, in sostanza, passi dalla regolazione al governo del territorio e delle trasformazioni, per liberare energie e risorse che la città contiene e per farlo senza perdere l’ambizione di costruire una fondamentale regia pubblica che conduca a una città sostenibile e giusta.

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