Io non so come cambieranno le nostre città a seguito di questa crisi né so se i cambiamenti radicali che stiamo vedendo nei luoghi di lavoro diventeranno stabili (e mi stupisce molto come molti sembrino invece avere le idee chiarissime).
Ho però alcuni dubbi e alcune preoccupazioni. Una, per esempio, è questa: se davvero, come conseguenza di quello che abbiamo provato e appreso in questi mesi, vedremo diffondersi a largo spettro il lavoro da remoto e, grazie a questo, sempre più persone potranno/vorranno/dovranno abbandonare le città, non rischiamo di incagliare (ancora di più di quanto non sia già incagliato) il meccanismo di mobilità sociale? Se un qualsiasi lavoratore svolge la sua mansione nel chiuso della propria stanza, senza incontrare nessuno, senza poter apprendere/scambiare/discutere/confrontarsi, senza imbattersi in un vecchio collega al bar, senza stabilire relazioni nel suo ambiente di lavoro, non corre il rischio di rimanere bloccato in quella posizione indipendentemente dalle sue capacità, dal suo impegno e dal suo talento?
Forse è un pensiero ingenuo, forse è tutto molto più complicato di così, ma a buon senso mi sembra che gli spazi di libertà che lo smart-working ci può dare possano essere una conquista importante, purché non si traducano in un ulteriore sistema di vincoli che protegge le posizioni acquisite.