Come quello del cavallo

Un cacciatore, risalendo una mulattiera di montagna, si imbatte in un cavallo steso a terra. Il povero equino, probabilmente reduce da una rovinosa caduta, ha entrambe le zampe anteriori rotte. Il cacciatore, mosso a pietà, arma la doppietta e lo abbatte. Poi si reca dal cavaliere che, appoggiato malconcio al tronco di un albero, ha osservato tutta la scena. Il cacciatore si accosta premuroso e chiede “e lei come sta?”. Il tizio, terrorizzato, risponde subito: “BENONE!”.

Storiella moraleggiante orobica

 

Il Paolone è un po’ acciaccato. Il fisico, trascurato con cura negli anni, presenta la rata semestrale di un conto che sarebbe impossibile saldare nel suo impressionante totale; e si procede a centinaia di milligrammi di paracetamolo (forti anche della recente scoperta su usi e costumi dei ragazzi inglesi, doviziosamente raccontati da Tim Small su IL). La mente è affollata di troppe preoccupazioni: le più forse inutili, ma vaglielo a dire tu, a Morfeo; qualcuna un po’ più seria, che qualche benemerito va investendo il Paolone di una fiducia si spera ben riposta. La crisi, poi, picchia duro e tirare la carretta è diventato esercizio di puro equilibrismo. I figli crescono, peraltro, e chiedono pazienza e dedizione, di cui il Paolone è straordinariamente privo. Della vita di coppia taceremo, e questo vi basti. Insomma, una disfatta totale.

Il Paolone è talmente a pezzi e ha talmente tante cose da fare, che aveva pensato perfino di smettere di Paolonizzare, salvo poi scoprire, grazie a Anna Momigliano, l’importanza di procrastinare (che poi, come diceva Nolan Bushnell, mito ineguagliato e pioniere dell’informatica, the ultimate inspiration is the deadline).

Comunque sia, il Paolone sostiene, chi lo conosce lo sa bene, che, in questo campo (e in pochi altri), si debba negare, all’occorrenza, anche l’evidenza. Sostiene, in sostanza, il Paolone, che si debba mentire senza remore, ma non per ipocrisia o buona creanza, ma per programmatico autoinganno. Troppo spesso sbeffeggiato per il suo irragionevole ottimismo, ha deciso quindi di documentarsi. E nelle sterminate pianure della rete ha trovato pane per i vostri denti.

Per esempio: Amy J.C. Cuddy, psicologo sociale e docente alla Harvard Business School, ha indagato, insieme a Dana R.Carney, l’influenza che il nostro linguaggio non-verbale può avere su noi stessi. So che può sembrare strano, ma le due scienziate sostengono che, se assumiamo, anche artificiosamente, un linguaggio non-verbale da persone forti, sicure e felici, riusciamo ad auto-indurre in noi stessi queste caratteristiche. E senza bisogno di uno specchio.

Dan Gilbert, invece, che viene dalla stessa scuola (forse che a Harvard sono tutti degli invasati?), sostiene, grosso modo, che la felicità che ci auto-induciamo convincendoci della correttezza delle nostre decisioni, non è distinguibile dalla felicità che proviamo quando ci accade qualcosa di positivo.

E potrei continuare a lungo esponendovi teorie che mettono al centro pratiche più o meno drastiche di autosuggestione razionale. Tutto questo risparmiandovi la paccottiglia da self-help, la Dianetica e Osho Rajneesh, perché sono buono.

Avremmo potuto stupirvi con effetti speciali, insomma, ma noi siamo scienza, non fantascienza. Quindi, con solide basi sperimentali (!), dovremmo avervi convinti che (parafrasando uno dei massimi filosofi contemporanei) felice lo è chi felice lo fa. O forse che, come tanti baroni Lamberto (tenuto in vita e in forma dal continuo ripetersi del suo nome) dovremmo ricordare a noi stessi ossessivamente la nostra buona salute. Che poi, sarebbe la morale della piccola storiella orobica riportata in esergo a questo post. Quindi, fate anche voi come me e, qualsiasi cosa sia successa, se vi chiedono come state, rispondete “BENONE!”, come quello del cavallo.

Si coglie l’occasione per ricordare che è disponibile nelle migliori librerie il manuale di auto-aiuto Cambia la tua vita con il Paolone, munito di apposita audiocassetta contenente la suadente voce del Paolone che ti incita dicendo “Dai, Dai, Dai!”.

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