Era il marzo 2003. Il Programma Integrato di Intervento Garibaldi Repubblica sarebbe stato presentato in Comune pochi mesi dopo, il P.I.I. Lunetta era di là da venire e l’Isola, ancora ignara dei suoi futuri fasti (?) boero-catelliani, era un po’ il nostro Greenwich Village in Gremolada. Piazza Archinto la nostra Washington Square senza arco ma con le automobili una sopra l’altra, la Stecca degli Artigiani il nostro Meatpacking District. E infatti in via Borsieri, tra marciapiedi ingombri e negozi d’altri tempi, in una ex fabbrica di tendaggi, aveva appena aperto il Blue Note Milano.
Non ce lo potevamo perdere. Prenotammo un tavolo e ci presentammo, io, la Chrissi, la Fiamma e il Marzio: fin da quella volta al Capolinea a fine anni Ottanta, quando Paul Bley dovette suonare seduto su una pila di guide del telefono, i concerti jazz – oltre ai viaggi – sono sempre stati uno dei pochi veri svaghi condivisi con il mio ascetico padre.
Nel nuovo Blue Note era tutto un po’ strano: l’arredo, il doppio turno, il cibo pseudo-americano… come fosse un po’ la copia, un po’ finto. Forse era solo acerbo e in effetti il tempo gli avrebbe dato ampiamente ragione. Certo non era finta la musica che usciva dalla batteria di Jeff Ballard, dal contrabbasso di John Benitez, dai molteplici strumenti di Tim Garland.
Qualche dubbio in più in effetti si sarebbe potuto avere su quello strano personaggio che si accomodò dietro al pianoforte a coda: tipo un Jerry Lewis male in arnese vestito come Homer Simpson quando fa il tele-lavoro. Ma, appena seduto al piano, ecco l’inconfondibile Armando Anthony Corea, per tutti “Chick”, di Chelsea, Massachusetts, calabrese di origine e detentore di 22 Grammy Award, pianista e compositore strepitoso, uno dei pilastri del jazz che più amo.
È passato tanto tempo, sono cambiate tante cose: io e la Chrissi ci siamo sposati, sono arrivati la Lu e il Michi: una vita intera. Ma il Blue Note è ancora lì, piazza Archinto è stata finalmente recuperata, l’atmosfera un po’ bohémien del quartiere non s’è persa nonostante i grattacieli e i boschi in verticale. Il Marzio non c’è più e non smette di mancarci.
Ieri se n’è andato Chick: che la terra gli sia lieve.
C’è una frase, un po’ retorica e un po’ gigiona, con cui concludo una presentazione che mi capita di fare sui nostri progetti di residenze, che suona così: “Progettare la residenza è come suonare musica Jazz: è necessario una buona competenza teorica, ottima tecnica, un solido repertorio di standard, un po’ di talento. E molta improvvisazione. Per fare, alla fine, quello che si vuole facendo in modo che gli altri stiano bene.” Potessi un giorno dire che abbiamo progettato e costruito architetture che valgono una frazione della musica di Chick Corea, mi darei per soddisfatto.