caval Donato

Alcuni giorni fa un amico girava per il centro città travestito da Sant’Ambrogio, distribuendo statuette in resina del Duomo (che ci volete fare, ognuno ha gli amici che si merita). La cosa interessante, mi ha poi raccontato costui, è che da ogni parte accorrevano numerosi per accaparrarsi uno (o più) esemplari della statuetta, peraltro di dubbio valore. Escludendo che il motivo fosse di usarla come arma contundente, essendo nel frattempo venuto meno il bersaglio, servono altre spiegazioni al curioso fenomeno.

Io credo la questione abbia più che altro a che fare con l’impossibilità di resistere alle cose gratis. Io, per esempio, non posso resistere.

I peggiori sono quelli che ti aspettano in cima alle scale della metropolitana. Da loro prendo qualunque cosa: volantini e foglietti, talloncini e libretti, pieghevoli e lenzuoli. Che raccontano di offerte imperdibili e di eventi indimenticabili, di elettrodomestici indispensabili e corsi di autoerotismo tantrico, di massaggi pachistani e salami nostrani. E poi bottigliette e campioncini, bustine e pacchettini. Di creme, di profumo, di bevande energetiche (necessarie forse all’autoerotismo tantrico?) e pietanze dietetiche. Io prendo, intasco e porto a casa. Ma veramente qualunque cosa. E accumulo in quantità senza senso depositate in luoghi inopportuni. Perché a caval donato non si guarda in bocca, come diceva il mio nonno Gino, e alle cose gratis non si può resistere.

Non saprei dirvi, quindi, (né potrei biasimare alcuno) se a spingere un nutrito gruppo di dirigenti di industria abbastanza agée a vedere un concerto jazz sia stato, più che altro, l’irresistibile gusto delle cose gratis, o se fossero mossi da autentica passione. Fatto sta che l’Auditorium San Fedele, noleggiato per l’occasione dal Gruppo Culturale del sindacato(?) dei dirigenti industriali era pieno. Tra gli ospiti, anche io, che non sono dirigente industriale, ma che anche in questo caso, come in molti altri, approfitto del welfare paterno, non foss’altro che per suffragare le tesi del Ginsborg, che mi piace tanto.

Sul palco, a intrattenerci, la Big Band di Paolo Tomelleri, compatta compagine di operai specializzati, produttori senza fallo di swing di grande qualità. Una squadra affiatata che ti lascia senza fiato. Il chitarrista aziona ritmico gli accordi pattuiti con il plettro da endurance, il contrabbassista macina chilometri su e giù per l’ebano della tastiera. I trombettisti in seconda fila intervengono puntuali, come ignari della fama che li precede; in particolare, sornione, Emilio Soana, là dietro, sembra uno di quei ragazzacci intelligenti e impertinenti che si mettono nell’ultima fila del bus, quando si va in gita con la scuola, per fare casino. Tra gli ospiti c’è Carlo Bagnoli che, forte dell’abbronzatura da Capannina, armato del minaccioso sax baritono, pennella suadenti inviti, forse coetanei del pubblico ammaliato, sicuramente dell’abbronzatura e del look. Angelica, Celeste Castelnuovo canta parole d’altri tempi con azzardati abiti coevi.

E poi trombe e tromboni, pianoforte e batteria, ance e ottoni e, su tutti, il clarinetto del Paolo Tomelleri, diabolico e divino.

Fossero tutte così le cose gratis.

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