Balla che ti passa

Che poi, dopo aver fatto la guerra e, in qualche modo, averla vinta, uno ci ha voglia di ballare, mi pare logico.

 

A Milano, nel 1945, appena cessate le ostilità, i giovani componenti della 48° Brigata Matteotti decisero di impegnare il premio conferitogli dal C.L.N. per aver catturato un gerarca in fuga per ricostruire la sala da ballo “el buschett” di viale Monza, andata distrutta nel tragico bombardamento del 20 Ottobre 1944. Dopo aver convinto il titolare a cedere la proprietà dei locali, nel novembre del 1945 nacque il Circolo Familiare di Unità Proletaria. Il circolo, che aveva ereditato la vivacità delle precedenti case del popolo (distrutte dal fascismo) e della società di mutua Ars et Labor, radicata in quel territorio dalla fine dell’Ottocento, era animato dalla “Società Baristi”, composta da oltre cento volontari che prestavano gratuitamente il loro servizio di baristi, e da altri soci volontari addetti alla conduzione della Sala da Ballo. L’attività aveva una sua efficacia economica e questo permise, con una serie di ritrtutturazioni e ampliamenti successivi, di ospitare le sedi del P.C.I. e del P.S.I., l’A.N.P.I., l’Associazione Proletaria Escursionisti, la Bocciofila, il Gruppo Sportivo Caccia e Pesca, il Circolo Culturale Roberto Battaglia, la Ristorazione, gli “Amici della Lirica” e la Società Ciclistica Sport Club Giovanni Gerbi. Il Circolo ebbe un ruolo fondamentale nel promuovere la coesione sociale di un settore urbano che, in pochi anni, passò dal essere un piccolo borgo semi-agricolo a un popoloso quartiere della città. Il tutto, fondamentalmente, ballando.

A partire dagli anni settanta, il modello di gestione volontaristica entrò in crisi e si susseguirono una serie di diversi assetti gestionali e proprietari; sono passati di qui anche il Teatro Officina di Massimo De Vita, la Cooperativa Casa Edificatrice, la Società Calcio Gorlese. Oggi, dopo alterne vicessitudini e periodi di grande difficoltà, gli edifici ospitano lo Zelig, famosissimo e seminale cabaret, il disco-bar Ragoo e il circolo del Partito Democratio “Luciano Lama”.

Al primo piano rimane, però, il salone con il bar dove, sopravvissuto a mille traversie, resiste il Circolo Familiare di Unità Proletaria. E qui, ancora oggi, soprattutto, si balla.

Alla domenica pomeriggio, i patiti del liscio si scatenano con orchestrine dal vivo, e la romagna non è poi così lontana. Il venerdì sera, da ormai sedici anni, l’Associazione Tangoy trasforma lo stanzone in una milonga e si balla il tango argentino, a volte con musiche programmate dai musicalizadores, a volte con musica dal vivo.

 

Sabato sera, dopo una giornata tra le più dure degli ultimi tempi, sono stato in viale Monza 140 al Circolo Familiare di Unità Proletaria. Al sabato sera, il circolo diventa Jumpin’ Jazz Ballroom, il locale dove si suona, rigorosamente dal vivo, dell’ottimo jazz (dal Dixieland al New Orleans, dallo Swing al Bebop) e anche, alle volte, del gran buon blues. Sabato, dicevo, ci suonava Egidio Juke Ingala con i bolognesi the Jacknives. I Jacknives sono Marco Gisfredi, chitarrista raffinato e convincente, Enrico Soverini, batterista dei più fini, e Max Pitardi, bassista allampanato e instancabile. Il Juke è, semplicemente, una potenza della natura.

Sul sito del Jimpin’ (come lo chiamano gli habituée), in fondo alla locandina dell’evento, appare la promettente scritta “boogie dancers & lindyhoppers welcome”. Arriviamo, vi dicevo, provati da una giornata faticosa e ci troviamo in coda per entrare con una fauna che un milanese definirebbe da Baggina. Ci guardiamo perplessi e raggiungiamo un po’ scoraggiati il nostro tavolo, posto, come gli altri, a circondare un grande vuoto centrale. L’Egidio si mette poco dopo a suonare, iniziando il concerto con una puntualità rara nell’ambiente della musica dal vivo e che noi interpretiamo come riguardo nei confronti del pubblico di pensionati in età.

Ed ecco che magicamente, come in uno spezzone dimenticato di Cocoon, gli astanti si alzano alla spicciolata, raggiungono il grande vuoto centrale e iniziano a ballare. All’inizio, complice un pezzo lento e suadente, con delicatezza e circospezione, poi sempre più decisi e veloci, e infine dimenandosi come indemoniati. Le facce très blasè non tradiscono alcuno sforzo fisico e i pochi giovinetti sembrano i più affaticati. Le dame passano di mano in mano, i muscoli guizzano sotto le magliette aderenti, le cinture bianche brillano tra i passanti neri e le scarpe cigolano sulle marmette del pavimento anni Cinquanta.

La serata è passata con grande piacevolezza, ascoltando un Blues convincente e onesto, bevendo una buona birra, chiacchierando con insoliti amici e godendosi lo spettacolo di questi attempati e poetici ballerini. Sono tornato a casa più sicuro che mai di aver capito molto poco della vita.

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