Nel 1995 ero uno studente al terz’anno di architettura confuso, appassionato, ingenuo e, con il senno di poi, forse intellettualmente un po’ arrogante. Non ricordo su consiglio di chi, scelsi di frequentare il laboratorio di progettazione urbanistica di Giancarlo Consonni. Fu un laboratorio molto diverso da quello che mi aspettavo, in parte spiazzante. Mi divertii molto e ne uscii con un ottimo voto, anche se ancora oggi nutro parecchi dubbi sugli esiti progettuali di quell’anno di lavoro. La parte più incredibile fu però la prima parte del corso, dedicata a un’analisi straordinariamente approfondita e complessa della città su cui avremmo poi dovuto intervenire. Per costruire quell’analisi fummo letteralmente sepolti da una strumentazione culturale (e relativa bibliografia) che con il tempo ho compreso essere una delle pietre angolari della mia cultura urbana e del mio pensiero sulla città.
Uno degli autori che ebbi il piacere di scoprire in quel corso fu Marc Augé, che se n’è andato ieri a 87 anni. Cominciai da Un etnologo in metro, uscito qualche anno prima per i tipi di Eléuthera (editore che imparai ad amare), poi i Nonluoghi (analisi brillante che produsse un neologismo tanto geniale quanto abusato e frainteso) e via via altri testi che ho poi letto nel tempo. Un pensatore straordinario cui devo molto, ma che soprattutto mi ha insegnato a guardare la vita quotidiana della città con occhi nuovi, più lucidi e appassionati.