Viviamo un momento difficile, anche solo da decifrare. E in questa fase Milano, come molte altre grandi città, sta affrontando un passaggio critico. Con la pandemia sono emersi con forza spietata i limiti del modello di sviluppo che ha sostenuto la crescita degli ultimi anni: la sproporzione tra reddito e costo della vita, il disequilibrio tra i territori, la monofunzionalità di alcuni quartieri, solo per citare i principali. D’altro canto rimangono ben radicate in molti milanesi (che lo sono, più di ogni altro, per adozione e non per nascita) le ragioni che li avevano spinti a scegliere la città, questa città, per vivere almeno una fase della loro vita (da milanese, non mi sento di elencarli, ma li ho chiari in mente). E altrettanto ben radicati rimangono i miglioramenti avvenuti a Milano nell’ultimo decennio, cambiamenti che la rendono per fortuna diversa e migliore della città dove sono cresciuto. Mi fa grande tristezza, in questa fase di incertezza, tanto chi cavalca l’onda di una rivincita anti-milanese (cosa abbiamo combinato, in questi anni, per farci odiare tanto?!) quanto chi sostiene con improbabile trionfalismo il “non è successo niente”.
Mi sembra più sano rimboccarsi le maniche e capire cosa si può fare. E mi sembra molto più milanese.