Abitare a Vienna: una casa per ciascuno

Nell’inverno del 2003 si è tenuta a New York una grande mostra dal titolo “Abitare a Vienna, una casa per ciascuno” che ha consacrato l’ennesima stagione felice dell’architettura residenziale di quella città. Fin dalla rivoluzione industriale, quando in tutta Europa il progressivo inurbamento creava grandi città sovraffollate e segnate da forti problemi abitativi, Vienna ha saputo imporsi come laboratorio avanzato di ricerca sui temi urbani, distributivi e tipologici della residenza. Il periodo più noto di questa continua evoluzione è senza dubbio la stagione tra le due guerre, quella della Vienna Rossa celebrata tra gli altri da Manfredo Tafuri: è qui che, come reazione al crollo dell’impero austroungarico e all’inflazione galoppante, un massiccio investimento pubblico produsse pietre miliari dell’architettura come il Karl-Marx-Hof. La parola chiave in quegli anni è Gemeindebau (residenza economica comunale), lo strumento è l’Hof, un isolato di abitazioni operaie, costruito in cortina che, definendo grandi cortili, accoglie al suo interno una ricca gamma di servizi collettivi: asili, scuole, cucine, lavanderie, laboratori artigianali, spazi verdi. E’ un modello che non implica l’ipotesi di una nuova organizzazione urbana ma, al contrario, si inserisce nelle maglie della città esistente accettandone tutti i vincoli. Negli anni seguenti si alternarono periodi di grande impegno costruttivo, come il secondo dopoguerra e gli anni Settanta, a periodi meno felici. Complessivamente il comune di Vienna, che durante i dodici anni della Vienna Rossa aveva prodotto circa 65.000 nuove abitazioni, si è mantenuto uno dei principali attori del mercato immobiliare della città, producendo tra il 1951 e il 1970 circa 96.000 unità e giungendo oggi a poter vantare un patrimonio edilizio composto da oltre 220.000 alloggi che ospitano circa un terzo della popolazione della città. Come questi numeri evidenziano chiaramente l’ottica dell’intervento pubblico sulla casa a Vienna va ben oltre i temi del bisogno o del disagio, proponendo l’edilizia pubblica come referente quantitativo e, soprattutto, qualitativo del mercato immobiliare della città. L’impegno della municipalità nel campo della residenza ha sempre trovato una fondamentale controparte nell’ Institut für Wohnbau und Entwerfen della Technische Universität Wien (dipartimento di Abitare del Politecnico di Vienna) dove formazione e ricerca hanno mantenuto negli anni un livello di assoluta eccellenza. Terzo attore di questa scena virtuosa, insieme a municipalità e università, sono senza dubbio i grandi immobiliaristi (privati e in cooperativa) che hanno saputo negli anni costruire con i propri clienti un rapporto di fiducia. Questa intesa ha permesso una continua innovazione, creando una connessione stabile tra il mutare degli stili di vita e il consolidarsi di nuovi modi d’abitare.

Queste le premesse per l’ennesima stagione felice dell’abitare nella città di Vienna, quella che a partire dalla metà degli anni Novanta ha accompagnato l’ambizioso piano di crescita che la città si è data.

L’Austria, come tutti i paesi occidentali, si è trovata ad affrontare, a partire dagli anni Ottanta, il fenomeno della dispersione urbana accentuato, in questo paese, dalla conformazione territoriale e dal radicato rapporto con il territorio di intere regioni rurali. Ciò nonostante nella città di Vienna si è mantenuta una forte tensione all’urbanità e alla densità, segnale di una predilezione di alcune tipologie sociali per ciò che la città può dare. Oggi più che mai notiamo a Vienna, come del resto in un numero sempre maggiore di città europee, una nuova centralità dell’abitare urbano legata a mutati stili di vita e modi d’uso che trovano nella città lo sfondo più appropriato per concretizzarsi. L’abitare urbano nella Vienna contemporanea si caratterizza però per una forte originalità del rapporto tra individuo e società, tra alloggio e città, tra privato e pubblico, in linea con la tradizione del progetto di residenza di questa città. Mentre all’interno degli edifici residenziali si riscontrano nuovi spazi semi-privati che accolgono istanze di collettività elettiva e protetta, nella città si vanno configurando nuove relazioni tra le residenze urbane, esito della riconversione della città industriale, e un inedito sistema di spazi semi-pubblici. Negli esempi più interessanti questi spazi diventano l’occasione per la messa a punto di nuove forme del paesaggio urbano fondate su un attento studio della collocazione delle funzioni, sulla definizione di elementi architettonici che mutino utilizzo, a volte persino forma, nelle diverse ore della giornata e nei diversi momenti dell’anno, sull’interpretazione progettuale del rapporto tra questi spazi, le residenze e gli spazi pubblici tradizionali.
Tra gli edifici residenziali realizzati negli ultimi anni a Vienna, quello che senza dubbio più chiaramente interpreta e incarna questa strategia progettuale è Compact City, dello studio austro-argentino BUS Architektur. Questo progetto viene esplicitamente costruito a partire dal mutato rapporto casa-lavoro, strutturando di conseguenza il sistema funzionale dell’intervento e generando una sezione complessa e caratteristica. In questo progetto è evidente una tensione verso la ricerca di nuove forme architettoniche legate al mutare degli stili di vita: le conseguenze di queste trasformazioni sulla struttura urbana sono, nell’interpretazione dei BUS Architektur, evidenti. Il ragionamento dei progettisti spinge il tema della multifunzionalità fino alle estreme conseguenze, ipotizzando che i nuovi abitanti urbani utilizzino la città in un modo radicalmente differente dagli abitanti del recente passato e dai cosidetti city-users. L’alloggio è visto come uno spazio multifunzionale all’interno di una città anch’essa multifunzionale. Nella prefazione alla prima pubblicazione italiana delle opere di questo studio Antonino Saggio descrive l’edificio viennese come “una città anti-zoning fatta di socialità interagenti, di flussi combinati, di informazioni in perenne incrocio. E quindi una vita, e uno stile di vita, misto di funzioni, di interessi, di commistioni”.

L’abitare urbano contemporaneo presenta però numerose differenze dal recente passato in ragione delle assai mutate condizioni che lo caratterizzano, in particolare sui temi della socialità, della sicurezza e del rapporto con la comunità. Ancora una volta negli edifici contemporanei viennesi ritroviamo una profonda innovazione sempre saldamente radicata nella tradizione del progetto dell’abitare della Vienna del Gemeindebau. La ridefinizione dei rapporti comunitari nella contemporaneità conduce dal sistema delle comunità familiari e locali verso un più complesso e variabile concetto di comunità elettive. Infatti, se da un lato la congiunzione delle esigenze di privacy e di libero arbitrio rischiano di portare ad un forte isolamento, anche domestico, degli abitanti urbani, dall’altro la socialità e la comunicazione sono gli elementi principali dei processi di lavoro cognitivo e creativo tipico delle classi urbane e in un certo modo ne motivano la loro stessa permanenza in città. Nasce quindi l’esigenza di costruire comunità identitarie, fluide e variabili, sulla base di condivisione di valori e obiettivi. Questo processo, già attivo e consolidato in altri aspetti della quotidianità trova a Vienna una chiara espressione anche nella costruzione della residenza. Allo stesso tempo vi è anche la necessità di affrontare i temi della densificazione urbana, dell’aumento della popolazione e del diritto di accesso ai comfort e alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e di coniugare tutto questo con le problematiche relative al contenimento dei consumi e al rispetto dell’ambiente. La risposta che emerge nel panorama residenziale Viennese è la costruzione di edifici-comunità che da un lato liberano lo spazio domestico privato da alcune attività, riducendone le dimensioni senza penalizzarne la vivibilità e dall’altro accorpano spazi e risorse di più nuclei abitativi al fine di garantire l’accesso tanto alle funzioni sottratte allo spazio privato quanto a nuovi e più complessi servizi altrimenti troppo onerosi sia sul piano economico che su quello ambientale.
Il complesso residenziale Sargfabrik, sviluppato in due fasi successive dallo studio di architettura BKK, costituisce probabilmente uno dei contributi più innovativi a questi temi. Il progetto nasce dall’iniziativa di un gruppo di abitanti che ha trovato una strategia poco comune per realizzare il sogno dell’abitazione urbana di qualità a costi bassi. Il gruppo si è costituito come associazione privata che gestisce un pensionato e assegna gli appartamenti ai suoi membri. Il proprietario è l’associazione, i soci sono in affitto per un periodo iniziale di cinque anni. I moduli base delle unità abitative sono compatti monolocali a split-level, addizionabili orizzontalmente e facilmente separabili, che contengono tutti i servizi sanitari necessari, almeno una mini-cucina, uno spazio alto due piani e un balcone che dà sui cortili verdi. Il cuore del progetto è costituito dagli spazi comuni semi pubblici: lavanderie comuni, una cucina con annessa sala da pranzo e soggiorno per i residenti che volessero invitare più amici di quanti ne possano ospitare nell’appartamento. Gli spazi comuni contemplano anche una biblioteca, arricchita dai libri condivisi dagli abitanti, una zona termale, una guesthouse (un appartamento che non può essere abitato per più di un mese consecutivo) e un bar caffetteria. Questi ultimi, oltre a creare un rapporto più vitale dell’edificio con il contesto, forniscono entrate sufficienti per provvedere alla manutenzione dell’edificio stesso. Si tratta di un esperimento quasi estremo, che ha permesso ai progettisti di riflettere sul rapporto tra usi privati, comuni e pubblici e, di conseguenza, tra interno e esterno dell’alloggio e dell’edificio.

Più in generale, il tema della flessibilità, lungamente dibattuto in ambito architettonico negli ultimi anni eppur ancora assai sfuggente all’atto pratico, sembra trovare una sua naturale espressione in molti dei più recenti progetti di residenza di Vienna. La possibilità di trovare all’interno del proprio appartamento gli spazi per svolgere (parte) della propria attività lavorativa e la necessità di poter adattare l’alloggio a forme familiari e stili di vita mutevoli e non standardizzabili, mettono il progettista e i developer nella condizione di dover proporre spazi con un ampio spettro di interpretazione. Nei progetti Viennesi degli ultimi anni possiamo identificare strategie più o meno radicali per affrontare questo tema; quelle che sembrano però apparire con maggior frequenza si concentrano all’interno del perimetro dell’alloggio escludendo o minimizzando la necessità di costruzione e demolizione di murature per ottenere la flessibilità richiesta. In questo caso si ricorre più frequentemente all’utilizzo di dimensionamenti ibridi dei locali, tanto in pianta quanto in sezione, nell’intento di permettere una molteplice interpretazione degli spazi della casa. A questi vengono associati frequentemente blocchi di servizio compatti, pareti mobili e arredi con funzione divisoria, anch’essi, spesso, mobili.
Particolarmente rilevante da questo punto di vista è il lavoro di Helmuth Wimmer, architetto sessantenne nato a Vienna, cresciuto alla scuola di Wilhelm Holzbauer e professore negli anni Ottanta alla T.U. Wien. Attraverso le sue opere Wimmer è andato costruendo un catalogo di soluzioni tipologiche flessibili che trova la sua più recente e riuscita applicazione nel complesso di Breitenfurterstrasse, realizzato nel 2003. In questo progetto Wimmer risolve l’affaccio sulla trafficata Breitenfurterstrasse attraverso una falsa facciata in vetro serigrafato lunga oltre 120 metri che raccoglie la distribuzione orizzontale e verticale, proteggendo dal rumore le residenze collocate all’interno del lotto secondo una disposizione a edilizia libera. Gli alloggi sono distribuiti da un sistema di ballatoi ortogonali alla facciata principale e staccati dai corpi di fabbrica: il collegamento tra edifici e ballatoi è infatti realizzato da dei piccoli giardini pensili. Gli alloggi sono concepiti a partire da una tipologia base con due camere da letto e una grande zona giorno per un totale di circa 110 metri quadrati.
Questa tipologia, chiaramente divisa in una parte notte razionale e rigida e una parte giorno completamente aperta e passante, presenta già in se molteplici modalità di utilizzo. Inoltre le tipologie, accoppiate a due a due con il corpo di servizio in aderenza, possono essere riconfigurate in un bilocale sommato ad un quadrilocale o un monolocale open-space sommato ad un grande appartamento con quattro camere da letto. Questa trasformazione risulta possibile sia in fase di finitura dell’edificio, sia in occasione di una generale ristrutturazione, minimizzando i costi e l’invasività dell’operazione.

Per Delugan_Meissl, Querkraft e altri architetti viennesi la spazialità di riferimento per questi nuovi alloggi sembra invece essere quella legata al Loft Movement americano; ciò avviene non più soltanto nel recupero, ormai sistematico, degli edifici industriali rimasti interclusi nella città consolidata, ma anche nella nuova edificazione, generando il paradosso della costruzione di loft ex-novo. Si tratta in questi casi di piante libere, prive non solo di muri ma anche, dove possibile, dei sostegni verticali in genere, segnate dalla collocazione strategica di un elemento tecnologico – normalmente contenente i servizi e, se presenti, le scale – che guida senza predeterminare gli spazi dell’alloggio. In questa logica ricadono l’edificio in Wimbergergasse e il Kallco Wienerberg City Lofts di Delugan Meissl o l’edificio LEE dei Querkraft.

La possibilità di articolare le piante degli alloggi secondo questi principi è legata anche alle locali tradizioni abitative e quindi alle normative della città di Vienna: questa disposizione planimetrica porta all’utilizzo su larga scala di servizi ciechi areati artificialmente a cui si accompagna quasi sempre la divisione tra servizi igienici, collocati nel nucleo centrale, e altre funzioni della sala da bagno, spesso portate nella parte aperta dell’alloggio; inoltre la cucina si configura come una parete attrezzata che il nucleo centrale offre alla sala, venendo quasi sempre meno un locale adibito solo a questa funzione.

Un ultimo tema che caratterizza fortemente i progetti di questa stagione dell’architettura residenziale viennese è quello della costruzione del prospetto urbano. In alcuni casi ci si limita a infrangere le regole precise e ripetitive che hanno caratterizzato nella tarda modernità il disegno delle bucature degli edifici residenziali scegliendo composizioni più libere e poetiche, spesso ai limiti del formalismo; più frequentemente i prospetti tradizionali vengono sostituiti da gesti più radicali volti, da un lato, a evidenziare le strutture di distribuzione sia verticale che orizzontale e la complessità funzionale, dimensionale, distribuitva e aggregativa degli edifici e dall’altro (o contemporaneamente) a sostituire i paramenti murari mediante l’utilizzo di vetrate e altri materiali permeabili alla luce, che aprono gli alloggi ad un nuovo rapporto con la città e contemporaneamente rendono particolarmente evidente il carattere innovativo di queste architetture, soprattutto nella visione notturna dell’edificio.

Nella città di Vienna il progetto residenziale contemporaneo sembra dunque trovare una forma che da un lato raccoglie l’eredità della grande tradizione della città e dall’altro accetta senza remore la sfida della modernità. I temi che guidano questi progetti sono, come abbiamo visto, il carattere fortemente urbano degli interventi, il ripensamento della relazione tra pubblico e privato, la flessibilità d’uso e un nuovo rapporto con il paesaggio urbano. Nascono quindi edifici multifunzionali e compatti, dove la complessità degli spazi dà conto di una molteplicità di usi e funzioni e di una socialità interna che comporta un ripensamento degli spazi comuni, tanto interni quanto all’aperto, e del rapporto con la città. Questi edifici sono caratterizzati da un impianto distributivo, da una impostazione formale e da un apparato decorativo che si distinguono in maniera netta dall’edilizia residenziale tradizionale. In particolare il layout interno degli alloggi si trova nella necessità di farsi carico dell’ampio spettro di modi d’uso che caratterizza gli abitanti urbani contemporanei offrendosi a una continua reinterpretazione funzionale da parte degli abitanti, trovando espressione anche con un rapporto diretto e radicale dell’interno con l’esterno che conforma in maniera netta la composizione e la costruzione dei prospetti.

Originariamente pubblicato in Dedalo, Marzo/Aprile 2007.

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