Ho piano piano capito che scrivere su questo blog ha su di me un effetto taumaturgico: è come se – descrivendo situazioni, esponendo bislacche teorie, raccontando disavventure – ne mitigassi il potenziale tossico, ne esorcizzassi il potere negativo e ristabilissi un (precario) equilibrio. La cifra di solito è quella ironica, l’afflato è quello di trovare punti in comune, ma c’è poco da fare: l’obiettivo è curativo. In sostanza, una forma di crowd terapy: siete tutti il mio psicologo, fatevene una ragione. Condivido dunque oggi con voi una riflessione maturata osservando alcuni post e commenti comparsi su Facebook: una riflessione forse politicamente scorretta, sicuramente dolorosa, eppure ineludibile e in qualche modo urgente.
Non sono stato un figlio ribelle: sono cresciuto con grande rispetto e stima per i miei genitori, seguendone per quanto sono stato capace gli insegnamenti, ammirandone i pregi e cercando di non giudicarne i difetti. Mi capita però sempre più spesso di provare un certo disagio – c’è da dire, soprattutto sui social – nei confronti di molte persone che appartengono alla loro generazione, quella che in America è detta dei Baby Boomers e che di recente è diventata bersaglio del sarcastico meme “Ok, boomer” da parte delle generazioni più giovani della mia, aprendo l’ennesimo fronte del politically correct (essendo l’esclamazione a sua volta considerata da alcuni discriminatoria).
Non saprei bene spiegare né come né perché, ma i social network (e, in particolare, Facebook) hanno su questa generazione uno stranissimo impatto, un mix di disprezzo e dipendenza, di repulsione e attrazione. Dominandone forse meno di altri il continuo cambiare di registri, subendone la componente tecnologica (sia software che hardware), complice forse la fatica delle miniaturizzazione, insospettabili stimati docenti e professionisti, intellettuali e pensatori, svelano anime nere sature di risentimento e malevolenza. Persone che hanno forse molto tempo libero lo investono inspiegabilmente intervenendo ovunque, redarguendo, criticando, chiosando o addirittura a bullizzando i colleghi più giovani (spesso dell’età – difficile non notarlo – dei propri eventuali figli). E diventa difficile non collegare questi comportamenti nel mondo virtuale con quelli, ahimè non così differenti anche se magari meno espliciti, nel mondo reale.
Questo mi ha portato a una riflessione più ampia: al netto delle molte, splendide, eccezioni (in quella generazione – dicevamo – ci sono i nostri padri, e anche alcuni rari generosi maestri), alle volte verrebbe da descrivere quella dei boomers come una generazione egotica, arrogante, maschilista, inconfessabilmente attaccata al potere e infinitamente auto-indulgente.
È un ritratto ingeneroso? Forse sì. Una indebita generalizzazione? Certamente. Si potrebbe dir male, se non di peggio, della nostra Generazione X? È possibile. Ma non possiamo trascurare che si tratta della generazione che ha vissuto il ciclo espansivo più incredibile della storia recente, che ha maturato una sicurezza economica che nessuno né prima né dopo ha avuto o avrà, che gode di un sistema previdenziale granitico fondato sull’onda demografica che li segue e che – nel bene e nel male – ha costruito il mondo dove oggi viviamo. E che oggi giudica, ingenerosamente e a volte perfino con sarcasmo, le quotidiane miserie di noi poveri tapini, destinati per la prima volta da decenni a un futuro meno prospero del nostro passato, con un mondo che va esaurendo le proprie risorse e che mostra i segni di una crescita incontrollata, senza concrete prospettive di pensionamento e con un welfare che ci si scioglie tra le mani.
Non posso nascondere come questo atteggiamento mi riempia di tristezza e sconcerto, e alle volte anche di rabbia. Verrebbe da pensare: ok, boomer, fallo per noi, abbandona i social network, fatti da parte, donaci – se ti va – la tua straordinaria esperienza, la cultura e il pensiero che noi oggi facciamo così fatica ad accumulare, lascia spazio alle nuove generazioni (se non quella dei figli, che proprio non ci hai mai sopportati, almeno quella dei nipoti), goditi il meritato riposo. Un appello un po’ crudo, forse ingiusto, ma, d’altronde, altrimenti: che fare?
Dopo un po’ di giorni che questo breve sfogo giaceva tra le bozze mai finite di questo blog a decantare un livore che non mi appartiene e che mi aveva quasi spaventato, un temporale estivo ha lavato via l’afa e la delusione e, pedalando nell’aria fresca di una mattina qualunque, sono riaffiorate le immagini dei nostri vecchi (come si dice nell’italiano dei paesi). ll ricordo di quando ci hanno insegnato a camminare prima ancora di indicarci la via, di quando hanno messo a disposizione i loro errori e le loro delusioni, di quando hanno preso per mano i nostri figli. Mi piace pensare che questa sia la generazione che ci ha preceduto, e non quella dei boomer leoni-da-tastiera, rumorosa e molesta eccezione. E per loro, per i nostri vecchi, continueremo a provarci e ad andare avanti.