Nell’estate del 1998, una delle ultime prima della fine dell’università, con un gruppo di amici di lunga data decidemmo di percorrere il Camino de Santiago in bicicletta, quasi mille chilometri dalla Francia fino alla capitale gallega. Francamente non ricordo come mai un gruppo di ragazzi poco avvezzi tanto alla pratica sportiva quanto a quella spirituale decedette di passare così l’Agosto, ma sono convinto che fu un passaggio fondamentale della mia formazione.
Dopo alcuni giorni di viaggio, quando la forma fisica andava facendosi più solida e la pedalata più regolare, arrivammo a Logroño. Sotto il solleone, impietoso come solo in Spagna il sole sa essere anche nelle regioni meno calde, io e Roberta, l’altra amica architetta, conducemmo tutto il gruppo a visitare il municipio, una delle prime opere di Moneo. Si tratta di un’architettura dura e un po’ ideologicica e non posso nascondervi che non fu particolarmente apprezzata dai nostri compagni di viaggio: mi sembra di ricordare che Marco giunse a minacciare la nostra incolumità fisica.
Arrivati in centro, ci fermammo a ristorarci in una piazza alberata dove bivaccavano diversi Pellegrini. Una signora (che allora mi sembrò) molto anziana ci abbordò. Lo faceva con tutti i pellegrini, consegnando dei foglietti con il proprio indirizzo affinché le si potesse inviare una cartolina una volta giunti a casa. Stimolata dalla possibilità di parlare in spagnolo (io ero reduce da un anno di Erasmus a Valladolid) si mise a chiacchierare con noi e, scoperto che studiavo architettura, mi chiese se per caso conoscessi suo cugino Rafael. La guardai un po’ perplesso ma, per cortesia, le chiesi il nome completo. A quanto pare, si trattava della cugina di Moneo.
I ricordi di quella vacanza sono tutti un po’ confusi, non solo per il tempo passato ma anche perché passavamo le giornate in una specie di stato di alterazione indotto dalla fatica, dalla fame perenne, dalle endorfine e forse dalla gioventù, al punto che non sono riuscito a ritrovare su Google Maps la piazza, che pur mi sembra di ricordare molto bene, e che sono giunto a dubitare della sequenza degli accadimenti, arrivando a ipotizzare che l’incontro avvenne a Pamplona, il giorno prima. In ogni caso, non chiedetemi perché, ma ho sempre attribuito a quell’incontro un po’ onirico un valore quasi di presagio.
Fatto sta che l’Apostolo mi concesse parecchie grazie: pochi giorni dopo aver lasciato Santiago conobbi, a Malmö, Christiane, di cui mi innamorai quasi immediatamente. E poi mi laureai, con una tesi che aveva come oggetto proprio il Camino de Santiago, svolta – è vero – a Siviglia, ma con un professore che si chiama Santiago. Da allora, sono rimasto legato alla figura di Moneo in un modo che va oltre l’apprezzamento dell’interessante opera architettonica e dell’ancor più interessante produzione culturale, un modo quasi mistico.