Originariamente pubblicato su Il Calibro.
È difficile, in un momento come questo, mettersi a scrivere uno di quei bei post inutili e leggeri che caratterizzano il Paolone. La situazione mondiale è oltremodo preoccupante e il nostro paese (e, in particolare, la sua classe politica) sembra determinato a dimostrare al mondo intero che davvero non c’è limite al peggio. (Un caro amico usava dire, già qualche anno fa, che avevamo toccato il fondo, ma che stavamo sottomurando per poter scavare ancora. Mi piacerebbe sapere a che punto siamo arrivati oggi, secondo la sua sempre lucida analisi.)
Ma ognuno, a questo mondo, deve fare il suo mestiere (ofelè al fa el to mestè, si dice a Milano) e il mio, almeno qui, è fare il Paolone.
Allora vorrei raccontarvi di una cosa che ho notato, andando in giro tra un appuntamento e l’altro a cavallo della mia Saltafoss, nel centro di Milano. Ma, come sempre, la prenderò alla larga.
Il boom economico degli anni cinquanta scaraventò una massa di contadini e e piccolo-borghesi di paese nella modernità. E questa modernità di massa aveva i suoi riti: il pranzo della domenica, la gita fuori porta di pasquetta, la villeggiatura per chi poteva, il vestito della festa.
E la fotoricordo.
La fotoricordo popolava le mura con tapezzeria di sale spesso intonse, affollava in cornici silverplate comò e cassettoni, farciva scricchiolanti album-ricordo. La fotoricordo era scattata con cura, la stampa manuale con timbro a secco dell’autore, i margini arzigogolati, le prime addirittura ritoccate.
Le regine delle foto ricordo erano quelle scattate in viaggio. Sopratutto quella con i piccioni.
Scattata in una grande piazza – preferibilmente San Marco a Venezia, ma andava bene anche una qualsiasi piazza del Duomo – vedeva al centro il soggetto, sospeso in un tempo irreale, immobile nel timore di sprecare costoso negativo, il vestito della festa un po’ fuori stagione, braccia spalancate come un Cristo naïve, con un nugolo di piccioni posati sulle mani a beccare famelici il granturco fornito in sacchettini di carta bianca dal fotografo medesimo.
Poche le varianti ammissibili. Per esempio, quella con il malcapitato in mezzo a un prato, il braccio nuovamente disteso ma questa volta con la mano piegata dallo sforzo di sorreggere la Torre di Pisa sullo sfondo. Oppure quella sulla vetta di una qualunque montagnola, piede con scarpone posato su un masso, gamba conseguentemente flessa e mano poggiata, con maschio vigore, sul ginocchio; in bocca un amarognolo filo d’erba.
Erano probabilmente molte le ragioni che spingevano i soggetti ad assumere pose tanto artefatte. La scarsa dimestichezza con la propria immagine riprodotta, per esempio. Ma anche il costo della stessa fotografia e l’innata parsimonia della generazione sopravvissuta alla guerra. E forse anche il timore reverenziale per un oggetto tanto tecnologico.
I turisti considerano divertente giocare con i piccioni
Vennero poi le macchinette tascabili, le pellicole a cartuccia, i negozi (minilab, mi pare si chiamassero) che stampavano in un’ora e il momento dello scatto perse progressivamente drammaticità. (Un posto tutto particolare hanno, in questa storia, le macchine fotografiche istantanee, di cui magari riparleremo, che il tema mi affascina parecchio.) La foto a questo punto richiedeva espressioni naturali, quasi sorprese. Solo la vecchia zia un po’ rintronata chiedeva ancora a cugini e nipoti di mettersi in posa e dire Ciiiis. Le foto, sempre più raramente incorniciate, incominciavano a riempire scatole e scatoloni, ingiallendo dimenticate sotto al letto o in cantina.
Poi, è arrivata la fotografia digitale. In linea di principio, con l’annullamento totale del costo dello scatto, avrebbe dovuto sancire il completamento del percorso intrapreso cinquant’anni prima. E, in effetti, all’inizio fu così. Foto fatte per caso, foto fatte dai bambini, foto fatte a se stessi con il braccio disteso, foto fatte a caso. Depositate negli Hard Disk esterni, che neanche ingialliscono. E con hegeliana precisione la storia sembrava aver condotto a una naturale conclusione.
Ma poi avvenne l’imponderabile, avvenne quello che nemmeno il più visionario degli scrittori di fantascienza avrebbe potuto immaginare: arrivarono i Social Network. E il mondo della fotoricordo cambiò per sempre. La possibilità di un immediato e partecipe audience planetario ha scatenato il delirio egotico e estetico in ognuno di noi. La fotoricordo torna a ritrarre le persone in posa, e la posa è più artefatta di quello che anche il più pacchiano e barocco fotografo per matrimoni avrebbe mai potuto immaginare. Foto in volo, foto a testa in giù, foto glamour, foto quasi-porno, foto artistiche, nature moribonde, prospettive drammatiche. E poi i filtri, le sfocature, il bianchennero, i colori virati. Non so voi, io mi diverto come un pazzo.
Insomma, ha ragione Elio quando dice:”sai che mi hai davvero importunato con la dagherrotipia?” O forse va benissimo così? Io, di mio, la prossima volta che torno in piazza Duomo mi porto un po’ di sacchettini di carta bianchi con dentro un pugno di granturco… cosi’, per arrotondare un po’ lo stipendio.