A Milano molti ricevono e leggono un giornale-newsletter che ormai da molto tempo viene recapitato con regolarità nelle loro caselle email. Seppur limitato a una cerchia locale, è senza dubbio in città un organo di una certa rilevanza, soprattutto in una fascia colta, impegnata e un po’ radical-chic (senza necessariamente intendere il termine coniato da Tom Wolf come un insulto). Anche io lo leggo, nonostante dissenta molto spesso dalle sue posizioni e rimanga alle volte perplesso per alcuni contributi e contributori che ospita, giacché annovera tra i suoi autori regolari o saltuari persone che stimo molto e di cui mi fa piacere conoscere le opinioni e leggere le analisi. Ci ho persino scritto un paio di volte, seppur per ragioni istituzionali.
Nell’ultimo numero, l’editoriale del direttore-mattatore (con cui, occorre ammetterlo, mi sono virtualmente accapigliato più di una volta) si dedica a una elegia della libertà dei pensionati, con lunga disanima dell’oggettiva impossibilità a essere liberi di tutti gli altri. Si tratta, immagino e spero, di un’iperbole, di una piccola provocazione fatta per farci ragionare. Ma staremo al gioco e proveremo a ribattere.
Sarebbe troppo facile e forse ingiusto indugiare sui profili anagrafici dei recenti voti (Trump negli Stati Uniti, la Brexit in Gran Bretagna e molti altri) che hanno visto le fasce d’età più elevate saldamente arroccate su posizioni sovraniste e conservatrici, ma è un dato di cui non si può non tener conto. Così come è inevitabile pensare all’onda demografica che sostiene i redditi (miseri o importanti, a seconda dei casi) dei pensionati di oggi e che difficilmente verrà ripagata della stessa moneta quando verrà il suo turno.
Personalmente credo piuttosto che la fragilità dell’argomentazione sia, come spesso accade, l’indebita generalizzazione.
Conosco pensionati straordinari che esercitano quotidianamente e con generosità la libertà che un reddito sicuro e senza padroni gli consegna, consigliando, aiutando, mettendo a disposizione delle nuove generazioni e del futuro esperienza e competenza maturate in una vita spesa con dedizione e serietà. E conosco anche pensionati prigionieri delle proprie frustrazioni e delusioni, del rimpianto di ciò che non è stato e dell’invidia per chi ancora ha una vita da scoprire, auto-reclusi su posizioni (cripto)conservatrici e luddiste. E conosco anche molte vie di mezzo.
Allo stesso modo conosco giovani e meno giovani che esercitano quotidianamente il rischio della propria libertà, nonostante padroni e padrini, clienti e clientele, contratti precari e redditi incerti: certo è una libertà diversa, intrisa di relazione con l’altro e di responsabilità. E poi conosco giovani e meno giovani prigionieri delle proprie ambizioni o delle proprie oggettive necessità, la cui libertà è da queste effettivamente assai limitata. E conosco anche molte vie di mezzo.
Perché, dunque generalizzare? Perché trasformarla in una lotta tra classi anagrafiche? Per errore o per malafede?
(E poi ci sono i giovani, quelli veri. Quali che affollano le nostre scuole spesso inadeguate e quelli che provano a lavorare in condizioni francamente inaccettabili, quelli che viaggiano e poi ritornano, quelli che provano, rischiano, amano, sbagliano. Quelli che partecipano ad AAA architetticercasi e a tutti i concorsi e che li vincono anche quando non ci sono fasce protette o altre protezioni. Ecco, se proprio dovessi generalizzare, è a loro che consegnerei le chiavi del nostro futuro.)