Quando ero un ragazzo (e poi un giovane adulto, come usa dire adesso), non amavo il mare. Non so se fosse per la mia carnagione chiara – facile all’ustione, se per il mio fisico già allora poco prestante – che non amava particolarmente il confronto con i fusti da bagnasciuga, o per l’interesse verso altri aspetti del viaggio e del turismo, ma, insomma, le vacanze difficilmente avevano il mare come destinazione principale.
Poi è cambiato. Non saprei bene dire quando, ma grossomodo da quando io e Christiane siamo diventati una coppia vera e propria (un affetto stabile, come usa dire adesso) e poi una famiglia, il mare è diventato sempre più la destinazione delle nostre vacanze, quanto meno nelle settimane agostane. Ma non un mare qualunque: proprio un mare-mare: il più possibile remoto, selvaggio, diretto.
In questa tensione verso il selvaggio, a un certo punto abbiamo scoperto la categoria di AirBnB delle case Robinzon. Con questa parola come chiave di ricerca, sulla tanto discussa piattaforma per gli affitti brevi si trovano in Croazia centinaia di casette spartane, esito probabilmente della deregulation tipica della via Jugoslava al socialismo, collocate di solito a pochi metri dall’acqua in luoghi remoti o remotissimi. Una meraviglia.
Un anno ci è scappata la mano e siamo stati in vacanza nella casa di Antonio e della sua famiglia sulla sperduta isola di Žut, nell’arcipelago delle Incoronate. Lasciammo la macchina a Zara, nel cortile dei nostri ospiti, che ci accompagnarono a fare la spesa e poi, con la barca, ci traghettarono all’Isoletta (come ormai è nota nel nostro lessico famigliare), lasciandoci armi e bagagli sul molo davanti a casa. La casetta era splendida, con acqua dalla cisterna, corrente elettrica prodotta dai pannelli solari e il silenzio di una baia raggiungibile solo in barca. Un vero paradiso.
Ci fu, però, un però: sarà stato l’appetito, notevolmente accresciuto dalla vita all’aria aperta e dal tanto mare, saranno stati i risultati deludenti della pesca, sarà stato che avevamo sbagliato i conti, ma insomma la dispensa sembrava svuotarsi a una velocità decisamente non compatibile con la lunghezza della nostra permanenza.
Ci salvarono il fico nel cortile e una piccola trattoria sul mare che raggiungemmo un giorno in maniera avventurosa con la piccola barchetta in dotazione della casa, davanti alla quale approdò miracolosamente una nave-market. Insomma: non morimmo di fame e portammo a casa ricordi meravigliosi.
Da allora, ogni volta che in casa o in vacanza si coglie una sproporzione tra il tempo, la fame e le provviste, scatta inevitabilmente il paragone con quell’esperienza.
In questi giorni di lockdown, per esempio, Christiane è stata fuor di dubbio vittima della sindrome dell’Isoletta e ha riempito le dispense con provviste che basterebbero per sopravvivere diverse settimana, anche in mezzo al mare, probabilmente anche in venti.
Certo, il panorama fuori dalla finestra non è propio lo stesso, ma sentirsi sull’Isoletta ha un po’ aiutato in questo periodo di clausura forzata (o lockdown, come usa dire adesso).
Ogni cosa si cura con l’acqua salata:
le lacrime,
il sudore,
il mare….