Quest’estate, per le ferie di rito, sono tornato in Croazia. Non è la prima volta che ci andiamo, ed è sempre una bella esperienza.
Non appartengo alla categoria degli eletti che frequentavano queste zone quando ancora erano Repubblica di Yugoslavia, e nemmeno ai coraggiosi che li hanno visitati a metà anni novanta, subito dopo la guerra. Gli uni e (in parte) gli altri hanno avuto credo il privilegio di vedere questi magnifici luoghi in condizioni straordinarie. Magari difficili, ma straordinarie.
Noi siamo stati la prima volta in Croazia nell’estate del 2005, in un giro in auto da Spalato (dove siamo arrivati in traghetto da Chioggia) a Dubrovnik e ritorno in Austria e in Italia. La Croazia era già un paese pacificato, o quantomeno faceva il possibile per sembrarlo. I turisti frequentavano in abbondanti frotte i luoghi più noti e alcuni gioielli, come il Palazzo di Diocleziano di Spalato, erano già — almeno in agosto — al limite della non visitabilita. Ciò nonostante abbiamo viaggiato con piacere e ci siamo affezionati a queste terre. Qui abbiamo riscoperto il campeggio e il gusto di una certa spartanità. Qui abbiamo scoperto una costa interminabile, dove c’è sempre una baia poco più in là che fa proprio al caso tuo. Qui abbiamo (almeno il sottoscritto) fatto pace con il concetto di vacanza al mare. Qui abbiamo mangiato le prelibatezze cucinate “sotto di campana” e visto nelle trattorie i monti fare pace col mare.
Così, seppur con l’incostanza che ci caratterizza, siamo tornati diverse volte. In campeggio, un’estate a Krk e una a Rovigno, quando la Luisa era piccolina. Poi in una specie di mobile-home con un po’ di amici quando i figli erano diventati due. E un anno in una casetta su un’isola disabitata delle Incoronate.
Quest’anno siamo tornati, affittando nuovamente una spartana casetta sull’acqua, questa volta sulla costa a sud di Dubrovnik.
Viaggiare è sempre, credo, una buona occasione per riflettere. Sulle cose, sulla storia, sull’arte, sulle vicende. Vale un po’ dappertutto, ma in certi luoghi più che in altri. In questo, i paesi dell’ex-yugoslavia sono incredibili, specialmente per noi italiani, o per una coppia — come la nostra — italo-austriaca. C’è Venezia e c’è l’Impero, c’è la prima guerra mondiale, c’è tutta la vicenda istriana e dalmata, ci sono i partigiani e la liberazione, ci sono le foibe e lo stalinismo, il comunismo e il socialismo, il titismo e i campi di concentramento dell’Isola Nuda.
E poi c’è la guerra.
Quando siamo venuti in Croazia la prima volta mi sono comprato, in una libreria di Spalato, il bellissimo The Death of Yugoslavia, che ho poi scoperto essere considerata la più completa e oggettiva ricostruzione della triste vicenda delle guerre balcaniche. Scoprire, tra un bagno nel mare limpido e una passeggiata nella pineta, tra una visita al piccolo villaggio e una cena di pesce o di carne, i dettagli di quella atroce e inspiegabile vicenda è stata un’esperienza molto strana.
Al ritorno, viaggiando verso Villach, a Karlovach abbiamo per la prima volta visto i segni della guerra sulle normali case popolari di un normale quartiere residenziale. La cosa mi fece un effetto incredibile: apparteniamo a una generazione che ha avuto il privilegio di non vivere mai una guerra, se non mediata dalla stampa e dalla TV, e tendiamo a dare per scontate alcune cose, come il diritto all’incolumità, che sono in realtà conquiste recenti e assai più precarie di quello che ci piace pensare.
Da allora, ogni viaggio in queste terre, pur sempre piacevole, è stato segnato dalla necessità ineludibile di approfondire e documentarsi, in una tensione straniante tra la curiosità — a volte anche un po’ morbosa — per le dinamiche di una guerra così vicina e il desiderio disperato di capire per rassicurarsi che non possa più succedere. Non così vicino. Non a noi.
Qualcuno ha detto che Serbia e Croazia sono gemelli siamesi che condividono un cuore sanguinante, e che quel cuore è la Bosnia. Bene, quest’anno, dopo i godibilissimi giorni nel mulino in riva al mare, sulla strada di casa ci siamo avventurati in un lungo detour via Mostar e Sarajevo.
È stata un’esperienza strana e molto bella.
I Balcani sono una terra affascinante. Un paesaggio spesso molto simile a quelli a cui siamo abituati — brani di Appennini o di Prealpi, paesaggi di monti carsici che conosciamo — eppure sottilmente diversi. Aree anche vaste paiono pressoché disabitate, almeno ai nostri occhi di italiani abituati ad altre densità. In genere la natura — pur simile — ha come una nota più dura, più rude. E poi ci sono alcuni slittamenti culturali incredibili: da case come quelle dei nostri nonni escono persone che parlano una lingua distante, che sa di steppa e di oriente. In un villaggio che per conformazione e architetture potrebbe stare a pochi chilometri dalle nostre città, svetta il modesto minareto della moschea di paese, incongruo al nostro occhio non abituato. Il foulard sulla testa dell’anziana signora non è così diverso da quello che ho visto portare dalle anziane dei nostri paesi, eppure è il velo islamico che ci fa tanto paura. Popoli dalle differenze profonde vivono gomito a gomito. Parrebbe un inno alla pace e alla convivenza, non sapessimo quello che è stato.
Benché siano passati più di ven’anni, i segni della guerra sono ancora molto evidenti. Nelle strade, sulle facciate delle case, nella distribuzione degli abitanti. La sensazione viaggiando in Bosnia da Sud verso Nord è di attraversare continuamente confini: alcuni formali, altri informali eppure evidenti, altri taciuti, forse indicibili.
La vita scorre normale, il turismo lentamente raggiunge anche i luoghi più remoti. Porta ricchezza in una terra in generale povera e in difficoltà, sarebbe stupido non approfittarne. Eppure la guerra è presente, sempre. È straziante pensare che persone come me, della mia età e della mia cultura, vivano con ricordi d’infanzia o di gioventù fatti di odio e distruzione. E che ci siano muri scrostati, case diroccate, strade abbandonate che quotidianamente li riportano a quei fatti che non sembra possibile dimenticare.
E intanto visiti paesi e città, splendidi monasteri (cattolici, ortodossi, mussulmani), cascate e laghi, boschi e pianure. Luoghi incantevoli che meritano il viaggio. E ti godi, necessariamente immemore, la tua vacanza di rito.
Alla fine torni a casa con negli occhi paesaggi splendidi, piccole città meravigliose, il sorriso di persone dure ma gentili, la gioia di aver viaggiato anche quest’agosto. Ma, sotto sotto, ti rode il pensiero di non aver capito, neanche immaginato, neanche vagamente intuito cosa possa essere successo in quegli anni disperati e come si debba fare per evitare che qualcosa del genere possa avvenire ancora. Non così vicino. Non a noi.