Sarà per il mio inguaribile ottimismo, ma, sul tema dell’Intelligenza Artificiale, se proprio dovessi scegliere – seguendo la celebre distinzione di Umberto Eco – mi considererei senza dubbio tra gli integrati. Credo che l’AI, pur con tutti i suoi rischi e dilemmi, offra straordinarie opportunità per ripensare cultura, conoscenza, persino umanità. Purché sia accompagnata – e possibilmente guidata – da quella naturale, di intelligenza.
Però, vorrei chiedervi: anche i vostri social si stanno popolando di quei post apparentemente edificanti e pseudoculturali, accompagnati da immagini generate dall’AI che sembrano uscite da un manuale di geografia scritto a cottimo da un algoritmo confuso e svogliato? Immagini in cui la pentagonale Mole Vanvitelliana di Ancona guadagna un sesto lato, perché un angolo in più non si nega a nessuno, in cui la meravigliosa installazione The Floating Piers di Christo e Jeanne-Claude sul Lago d’Iseo si trasforma in una passerella sconclusionata giallo canarino e un borgo coraggioso delle Alpi occidentali viene deliziosamente adagiato su fondali dolomitici degni di una pubblicità del latte degli anni Ottanta?
Qualcuno, forse eccessivamente integrato, potrebbe dire che è il prezzo dell’innovazione. Ma qui non si tratta di sbavature pionieristiche: è pura sciatteria. Ed è un peccato, perché lo strumento è potente, ma – come tutte le cose potenti – richiede discernimento, competenza e un minimo di rispetto per ciò che si rappresenta.
Altrimenti l’AI non eleva: semplifica, deforma, banalizza. E no, non è colpa dell’arrivo dell’intelligenza artificiale. È colpa della dipartita di quella naturale.