Nel dicembre del 2004 – quando la cucina e il buon mangiare non erano ancora fenomeno televisivo, anzi: quando la sinistra ancora stentava a scrollarsi di dosso i tabù di una frugalità pauperista di dubbia utilità per la causa – usciva in tiratura limitata per i tipi di Le Bovisien, autoprodotto sotto l’egida del circolo L’anatra ha la pancia nella copisteria di fiducia dei Fratelli Grimm, l’imperdibile e ormai introvabile volume Mangiare è innocente, 30 ricette dei miei primi trent’anni, opera immatura e incompetente del non meno immaturo e incompetente qui presente aspirante cuoco e maître-à-penser. Avendone di recente ritrovato il file pdf, ho pensato bene di metterlo a vostra disposizione in questo tempio dell’inutilità che è il mio blog. Difficile che sfugga l’ingenuità dei trent’anni, tanto nei testi quanto nelle ricette… nondimeno, per me è stato divertente ritrovarle e spero che per voi lo sarà scoprirle. Buona lettura, quindi, e – nel caso mai doveste azzardarvi – buon appetito!
Non si sa di nessuno che sia riuscito a sedurre con ciò che aveva offerto da mangiare; ma esiste un lungo elenco di coloro che hanno sedotto spiegando quello che si stava per mangiare
Manuel Vázquez Montalbán
Prima di tutto vorrei precisare che questo certo non è un libro di cucina, nè io avrei alcun titolo per scriverne uno; meglio detto, questo non è un libro di nessun tipo, forse è solo un quaderno di appunti dattiloscritto e riprodotto ad uso del mio ego ipertrofico. Sostanzialmente, la questione è che nell’incoscienza dell’adolescenza c’è chi promette a se stesso che farà il giro del mondo a vela, che scalerà in motocicletta la collina davanti a casa o che diventerà Capo del Mondo; io, invece, mi ripromisi di scrivere un libro di ricette prima dei trent’anni… mi scuso quindi fin a subito per le eventuali manchevolezze ed imprecisioni e passo subito a spiegare per quale motivo mi è venuto in mente di scrivere di cucina. Il mio aspetto non propriamente adonico e le mie modeste doti sportive mi hanno costretto negli anni a sviluppare un metodo di corteggiamento fondato su due mie evidenti passioni: il cibo e la parola. Trovare, inventare e cucinare piatti che potessero rendere affascinante me e sopportabile (o, in alcuni rarissimi casi, perfino gradevole) la mia logorrea è stato l’obbiettivo di anni di duro lavoro ai fornelli; inizialmente qualche sporadico dì di festa prima di invitare le prime ignare vittime, poi ogni sabato che il buon Dio mandava in terra (ovviamente se nel frattempo mandava i miei genitori in campagna) ed infine molti giorni negli otto anni da single variamente coabitante: ore ed ore spese a cucinare privo di qualsiasi base e con pochi e provvidenziali aiuti. Quando un giorno il Pablo mi spiegò che il soffritto con il burro per il sugo rosso degli spaghetti non era proprio il massimo, e che il fatto che in casa mia l’avessi sempre visto fare non era un buon motivo per torturare così me stesso e i miei amici, capii che molto avevo ancora da imparare, ma anche che sempre avrei trovato qualcuno disposto ad aiutarmi. Inutile nascondere quanto il suddetto Pablo, che con sottili minaccie e pesanti insulti ha a lungo accompagnato le mie pratiche culinarie, ed il mite Tricca, disposto a mangiare (in copiose quantità) quasi qualunque cosa gli propinassimo (purchè non contenesse pesce, che comunque allora non rientrava nel nostro budget del finesettimana) siano stati fedeli e fondamentali compagni. Man mano che l’arte si affinava iniziavo a praticarla anche sulle mie vittime più naturali: le ragazze; la cosa incredibile a dirsi è che funzionava davvero ed ha addirittura avuto un ruolo cruciale in alcune vicende amorose: è così che un’abitudine diventa vizio. Poi venne l’epoca erasmistica dei vagabondaggi: la tentazione irresistibile di imparare tutte le cucine del mondo, ormai anche senza immediate finalità erotiche. E’ così che nasce il gusto per la ricerca, per l’esperimento continuo, per gli ingredienti più bizzari.
Poi il vero amore e, forse, perfino la vita adulta. Ora è tutto diverso: il corteggiarsi è un’arte reciproca e a molti livelli differenti; la cucina è cosa di coppia, di casa, di amici, alle volte ancora di gruppo. Come vedi, rimane la logorrea, ma ora metto su un bel risotto e mi faccio perdonare.
Criterio di scelta delle ricette che seguono è quindi il mio personalissimo coinvolgimento emotivo con ciascuna di esse, legato ai calori tiepidi dell’infanzia o a quelli vivaci dell’adolescenza (che nella nostra generazione ha durata media intorno alla dozzina d’anni), certo non dimenticando quelli, spero più assennati, di questo primo breve scorcio di vita adulta.
Le ricette che propongo sono pensate per una tavola di quattro persone, suggerisco due coppie affiatate (anche le più varie ed elettive, a tavola mai formalizzarsi) per appoggiare la scoperta dei sapori su una solida rete di complicità reciproche. La cena a due è cosa di grande valore, anche se personalmente l’ho sempre preferita servita (altro è cucinare e nutrirsi insieme, ma in questo caso Dio non voglia ricette tra i piedi). Libagioni a più persone richiedono solo di applicare le regole della moltiplicazione agli ingredienti e quelle della divisione all’intimità, fatte salve alcune peculiari situazioni di degustazione specificatamente orgiastica.
Troverai le quantità degli ingredienti perlomeno lacunose, questo credo in virtù del fastidio che ho sempre avuto per le costrizioni: la ricetta è metodo, non regola, è metafora di un piacere che ciascuno deve poi ri-creare. Altra cosa è il manuale di cucina, di cui spero tu possieda diversi esemplari, io su tutti collocherei il Cucchiaio d’Argento, dagli anni cinquanta onesto compagno di molte casalinghe; per non parlare poi delle guide alle cucine nazionali e regionali, vere miniere di suggerimenti (inevitabile citare per la cultura italiana “La cucina rustica regionale” dei Luigi Carnacina e Veronelli). Come in ogni cosa della mia vita, anche in cucina sono miglior teorico che pratico, quindi ti esento da lunghe descrizioni di procedure che sicuramente eseguiresti meglio di me, limitandomi a descrivere le pratiche più inconsuete o desuete.
- Risotto al rosmarino
- Tartare di Tonno
- Zuppa alla Chrissi
- Tortino di farro al Taleggio
- Ossibuchi alla milanese
- Tagliata di manzo alla griglia (BBQ)
- Zuppa di funghi e castagne
- Uccellini scappati
- Pulpo alla Gallega
- Kirkhtage suppe
- Primo exursus: pane e pomodoro
- Gazpacho
- Casöla
- Baccalà al Pil Pil
- Arrosto di maiale al latte
- Vitello tonnato
- Zuppa d’aglio alla Castigliana
- Bracioline di agnello e Tzaziki gelato
- Trota alla Navarra
- Focaccia Ligure
- Fiori di zucca in pastella
- Gattò di patate alla napoletana
- Secondo exursus: i biscottini di Natale
- Canederli di fegato in brodo
- Orecchiette con cime di rapa
- Pane Frattau
- Carne Salada alla trentina
- Paella
- Steak tartare
- Strudel di polenta
Citati qua e la nel testo ci sono frammenti (alla lettera, tradotti o parafrasati) dei testi di canzoni di alcuni tra i miei autori preferiti; le elenco per fornire una possibile colonna sonora ai nostri slanci culinari:
Paolo Conte,
La ricostruzione del Mocambo da Paolo Conte, 1975
Davide Van De Sfroos,
Pulenta e galena fregia da Breva e Tivan, 1999
La ballata del Genesio da Breva e Tivan, 1999
Vinicio Capossela,
All’una e trentacinque circa da All’una e trentacinque circa, 1990
Joaquin Sabina,
Pongamos que hablo de Madrid da La Mandrágora, 1981
Georges Brassens,
Le pornographe da récital n° 6, 1958.
David Riondino,
Canzone dell’Impiegatino Asburgico da Racconti picareschi, 1989.
Juan Manuel Serrat,
Mediterráneo da Mediterráneo, 1971.