Me

Generazione di fenomeni

Sono nato a metà degli anni Settanta.

Noi nati negli anni Settanta siamo la generazione più inutile della storia recente di questo Paese.

I nostri nonni hanno fatto la Seconda Guerra Mondiale, o quanto meno l’hanno vissuta. I bisnonni hanno fatto la Grande Guerra, qualcuno ne ha persino scritto. I nostri genitori, nati negli anni Quaranta, hanno fatto il Sessantotto, e sono i peggiori. Poi sono venuti quelli del Settantasette, Indiani Metropolitani o sedicenti tali, i nati negli anni Cinquanta. Dopo di noi sono venuti i No Global, i nati negli anni Ottanta (anni di cui riparleremo) e poi ancora, mi dicono, ci sono i Nativi Digitali.

Noi: niente.

Siamo la generazione più inutile.

(Beh, ci sarebbero quelli nati negli anni Sessanta, ma loro non contano, mica vogliamo infierire.)

Io, da bambino, ascoltavo i dischi dei miei genitori. I miei preferiti, quando ero tra i quattro e gli otto anni, erano una raccolta di grandi successi dei Beatles (una copertina bianca con un grande 20 in oro) e il disco degli Intillimani con la canzone del Presidente. Questa si che è un’eredità. Ora che mia figlia ha quattro anni, cosa dovrei farle sentire: i Duran Duran e Den Harrow?

paninari

Noi siamo la generazione dalla mitopoietica più barocca e inutile di tutti i tempi: noi siamo stati Paninari. Ora: se andate a Londra potete trovare i residuati di tutte le mode giovanili che dal dopoguerra a oggi hanno calcato le scene delle metropoli europee. Per le strade della capitale inglese ci sono, vivi e vegeti, Punks, Mods, Gotici (quelli che noi chiamavamo “dark”), Skinheads, Rockabilly e Teddy Boys. Tutti, come in un bioparco della fauna giovanile. Ma i paninari mica ci sono (nonostante i Pet Shop Boys). Eppure, per un breve ma intenso periodo, mettevamo tutti le Timberlad sopra alle calze Burlington, jeans belli corti, cintura cartonata El Charro, felpa Best Company e piumino Monclear. Eravamo Galli in cerca di Sfittinzie, con sprezzo del ridicolo parlavamo una lingua assurda e giravamo per la città vestiti come dei costosissimi cretini. Tutto, per fortuna, cancellato dalla storia. Non c’è dubbio: una generazione inutile.

Perlomeno quella di questo paese, che altrove la nostra è stata la seconda generazione dei nerd che hanno cambiato il mondo. Noi, dei nerd, conoscevamo solo la Rivincita. Programmavamo in basic pensando che goto fosse una parola di una lingua misteriosa e giocavamo ai summer games con dei grossi joystic neri. Press play on tape. I più avanti facevano le BlueBox con l’Amiga per telefonare alla zia a Casalpusterlengo. Tutto rottamato senza rimpianto. Quando finalmente è arrivata internet, eravamo già passatelli.

Molti di noi, di nascosto, quando nessuno li vede, pigiano i bottoni del cellulare con l’indice; che questa cosa del pollice è troppo moderna e mica tanto comoda.

Per alcune (poche) cose, un po’ di nostalgia: un’America ancora così diversa da essere mito, da saper stupire. L’illusione di un inarrestabile progresso economico e sociale. L’innocenza di una politica con buoni e cattivi e senza cartelloni 6×3. Il dialetto nei negozi, anche in città, e non sui manifesti elettorali. Per il resto, probabilmente, una generazione inutile. O forse stiamo solo diventando grandi, e lo sai che non mi va.

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