Il coccodrillo come fa?

Ho frequentato le scuole superiori in uno dei mitici omnicomprensivi che punteggiano la periferia milanese. XIV Liceo Scientifico Statale “Gerolamo Cardano”, per la precisione.

Che voi ci crediate o no, in cinque anni di liceo io non ho praticamente mai studiato. O quasi. Le due o tre volte che ho studiato me le ricordo: latino nell’estate tra la prima e la seconda, come scotto per aver rischiato di prenderlo a settembre. Matematica nell’estate tra la terza e la quarta, per averla effettivamente presa a settembre. Storia per la maturità (geografia astronomica, sinceramente, neanche aperta).

Molto si potrebbe dire di una scuola che mi considerava uno studente quasi sempre sufficiente e spesso discreto (almeno giudicando dai voti), senza pretendere in realtà nulla (o quasi) da me. Va da sé che, viste le premesse, in cinque anni non ho imparato sostanzialmente nulla. Quantomeno per quanto pertiene alle materie curriculari. Per il resto, una grande esperienza di vita.

Facevamo le cose che tutti fanno a quell’età, e come tutti eravamo convinti di essere i primi a farle. Siamo stati quel poco incendiari da poter essere oggi pompieri con il cuore in pace. C’erano i collettivi e le scampagnate, le feste in maschera e i concerti, la prima ragazza e molte altre prime cose che, data l’estrema eterogeneità del pubblico di questo modesto blog, mi terrò per me.

Tra le cose che ti facevano sentire speciale, c’era il fatto di possedere il “Live at Borgomanero”. 25 settembre 1987, un gruppo di ragazzotti si spacciano per una band greca e cantano canzoni come No Gianni no, Unanime, Vivi Rocco, Urna, Silos (la mia preferita), Tenia, The peak of the mountains, John Holmes, Pork e Cindy, Bidet, Alfieri e, soprattutto, Cara ti amo. Non c’era altro, solo una musicassetta da novanta copia-della-copia-della-copia, i testi che passavano da una Smemoranda all’altra e qualche temerario che cercava di farne cover, scoprendo che gli apparenti cretini erano in verità musicisti assai dotati e che suonare i loro pezzi non era proprio una passeggiata.

Nel 1989 esce Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu, e noi vecchi appassionati iniziamo a sentirci sospettosi. I nuovi fan appaiono in sostanza come indegni usurpatori. Non vi dico neanche quando nel 1996 gli Elii si presentano a Sanremo. Scandalo e ripulsa. Il problema è che la canzone era stupenda e che l’album (Eat the Phikis) è forse il migliore di sempre.

 

Insomma, in fondo è un fenomeno tipico. Scopri una cosa che trovi eccezionale e non ti capaciti di come sia possibile che agli altri non gliene freghi nulla. Ti crogioli nella tua nicchia fino a quando il successo non arriva. A quel punto ti trovi a combattere tra la gioia per i tuoi beniamini e l’orgoglio di essere arrivato primo da un lato e lo snobistico fastidio per i parvenu dall’altro. Un classico.

 

Io, per esempio sono arrivato al Mac abbastanza tardi. Una prima una prima incursione spericolata fu quando regalammo l’iMac appena uscito a mia madre (1999). Il design era eccezionale, ma l’estremismo Apple ancora da digerire (l’iMac era il primo PC con solo prese USB, trovala tu una stampante…) e il sistema operativo (Os 9.2) macchinoso e confuso non meno del corrispettivo Windows. Il primo Mac che ho usato realmente è stato però il Titanium PowerBook G4 che mio zio mi regalò, usato, nel 2002 a parziale pagamento della mia opera prima architettonica. Un oggetto incredibile. Il design è, a mio modesto avviso, ancora insuperato. Il sistema operativo Os X un capolavoro di equilibrio tra il fighettume dell’interfaccia e il core UNIX potentemente hacker.

Probabilmente molti vecchi utenti Mac guardavano noi neofiti dell’Os X come degli sguaiati invasori, ma noi ci sentivamo dei pionieri.

Poi arrivò l’iPod, iTunes, i processori Intel e alla fine l’iPhone e l’iPad, e così anche noi ex-newbie abbiamo potuto sentirci dei vecchi esperti.

Comunque, in questi ultimi dieci anni, grazie alla Apple ho lavorato con computer esageratamente più belli e ragionevolmente più efficaci di quanto non facessero “gli altri”, ho ascoltato ore e ore di musica nelle cuffiette (anche se non completerò mai i 45 giorni consecutivi necessari ad ascoltare tutta la mia libreria), ho fatto un sacco di cose con il mio iPhone e sporadicamente sono anche riuscito a usarlo per telefonare.

 

Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi, diceva Bertold Brecht, ma in tempi di veline e di Tarantini, di escort e di furbetti, qualche buon esempio fa pure comodo.

 

Grazie Steve.

 

p.s.: Alcune settimane fa mi sono tolto una gloriosa soddisfazione: Supergiovane in persona è stato mio ospite in Facoltà. E poi ci sono quelli con le liste delle cose da fare prima dei quarant’anni… qui si va oltre il sogno più ardito!

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