Papa-Ego

Ho già raccontato, in uno dei primi post di questo Blog, i valori che hanno caratterizzato la mia educazione e che conducono, più o meno, la mia vita adulta. Una menzione particolare potrebbe però meritare la traiettoria della mia educazione musicale, arrivando fino ai miei figli.

In casa mia, quando ero bambino, non si ascoltava tantissima musica. Un po’ si, però, e infatti in sala c’era uno Stereo HiFi e una piccola pila di Long-plaing. Io ne amavo particolarmente quattro: un disco degli Inti Illimani, uno dei Beatles, uno di Joan Baez e uno di Nanni Svampa.

Inti-Illimani

Nel 1973, in quell’altro undici settembre forse troppo presto dimenticato, con un colpo di stato, il generale Augusto Pinochet (con qualche aiutino) sovverte il governo di Unità Popolare di Salvador Allende, democraticamente eletto tre anni prima. Quel giorno gli Inti Illimani, un gruppo di musica popolare chilena, quella tutta flautini e frange di lana, si trovavano a Roma per una data della loro tournée italiana. Ci rimasero quindici anni, in attesa di poter rientrare nel loro paese, raccontando instancabilmente le sofferenze cui il loro popolo era sottoposto. In quello stesso anno uscì, in Italia, Viva Chile!, raccolta di canzoni appositamente registrate per il mercato italiano. Se volete ve le canto tutte e dodici, posso anche fare “na na na” nei pezzi strumentali. Ve le posso cantare a memoria, anche se non l’ho più ascoltato da allora. Questo dovrebbe darvi la misura di quante volte l’ho ascoltato. La mia preferita era la Cancion del poder popular, che io chiamavo “la canzone del presidente”. Dai, posso cantarla? Vi faccio anche sclonk dove il disco era rigato.

Il disco dei Beatles era una strana raccolta, 20 golden hits, che comprendeva tutte le canzoni più famose dei quattro di Liverpool. Se ben ricordo, la mia preferita era Let it be, ultima traccia del lato B. Avevo anche identificato in quattro omini dei miei lego Paul, John, George e Ringo e li portavo in tournée per il soggiorno con un vagone del treno debitamente modificato.

Il disco di Joan Baez era la registrazione del suo concerto al Teatro Lirico di Milano del 1967, arricchita di una versione incisa – sempre dal vivo – a Vienna di “c’era un ragazzo che come me”.

Il disco di Nanni Svampa, in fine, era il terzo volume di “Nanni Svampa Canta Brassens”. In questa serie il cantante milanese ex-Gufo canta le canzoni di George Brassens, dopo averle tradotte in dialetto milanese. Molti anni dopo avrei riscoperto le meraviglie dell’anarchico cantore francese e l’avrei amato sia nella versione originale che nelle mille reinterpretazioni, tra gli altri, di Svampa, De André, Paco Ibañez e Javier Krahe. Di quel disco, la mia prefarita era la “La guerra del desdott”, davvero non saprei dirvi perché.

E poi c’era una selezione varia di dischi tardo sessantottini e di canzonette, tra cui amavo in particolare uno di Joan Baez e uno della Vanoni. Insomma, nel complesso un’educazione musicale non particolarmente sofisticata, ma almeno divertente. Sicuramente la grande assente fu la musica classica.

Il mio primo acquisto indipendente furono due musicassette comprate, grazie a una delle generose “mance” della nonna Luisa, nell’estate del 1985 nel negozio di dischi del Porto di Chiavari. Si trattava della compilation Pole Position, che conteneva, in particolare, La Colegiala di Rodolfo Y Su Tipica, dimenticabilissimo ballabile pseudo-latino che allora amavo molto, e un più dignitoso Born in the U.S.A. di Bruce Springsteen, inizio di una grande passione. Poi, per conto mio, ho scoperto il Blues, Paolo Conte, il Jazz e tante altre cose, inframmezzandole laicamente con la peggiore musica commerciale dell’epoca. Alla fine anche la musica classica. Oggi che sono un musicista prematuramente fallito, un appassionato di musica abbastanza eclettico, un collezionista compulsivo di CD e MP3 e, soprattutto, un padre, mi chiedo cosa rimarrà delle mie passioni musicali nella memoria dei miei figli.

Nel frattempo, a fare casino, ci pensa mia madre.

Sarebbe improprio dire che mia madre è una snob, non renderebbe giustizia al suo carattere aperto, curioso e tollerante. Nè sarebbe coerente con la probabile collocazione socioeconomica della nostra famiglia. Potremmo dire che provengo da una famiglia della piccola borghesia, forse più colta che non ricca, che ha sperimentato, come molte, una certa crescita nell’arco delle due ultime generazioni (quelle che mi precedono). Oggi, grazie alla crisi che si è abbattuta sul sistema economico globale e, con particolare accanimento, sul nostro paese, e grazie alle scellerate scelte lavorative che compio sistematicamente, mi sento sollevato dall’onere di proseguire questa fulgida traiettoria. Pazienza.

Mia madre non è particolarmente snob, dicevo, però, ogni tanto, si lascia andare a commenti sprezzanti nei confronti dei molti che lei considera dei parvenu: diciamo che secondo i suoi severi criteri solo una piccola frazione di persone meritano pienamente la condizione socioeconomica che hanno (o si vantano di avere). Allo stesso modo si diverte a inserire nelle nostre vite e, particolarmente, nell’educazione dei suoi nipoti, piccole pillole di sciccheria alle volte un po’ sopra le righe.

Per esempio, qualche mese fa ha regalato ai miei figli il dividì della riduzione a disegni animati a cura di Emanuele Luzzati e Giulio Gianini del Flauto Magico di Mozart.

Cioè, fammi capire: tu mi hai cresciuto a sciala-la-la e uacciu-uari e adesso pretendi che i miei figli ascoltino Mozart?! Ma ti pare?!

Ora, la cosa incredibile è che i miei figli adorano questo piccolo gioiello. Lo guardano incantati tutte le volte che possono, godendosi peraltro il previlegio di capire il libretto in tedesco di Emanuel Schikaneder. Mio figlio, alla sola idea di poterlo guardare, si mette a saltare come un canguro per tutta la casa (in generale ha preso alla lettera la questione dei “salti di gioia”) gridando Papa-Ego, Papa-Ego, Papa-Ego (che poi sarebbe Papageno).

In effetti bisogna ammettere che si tratta di un piccolo capolavoro. Sicuramente il singspiel di Mozart, divertente, orecchiabile, gioioso e affascinante. Ma anche il lavoro che hanno fatto Luzzati e Gianini è incredibile. Artigianale e naive e, contemporaneamente, elegante e sofisticato; immediato ma raffinato, colorato e divertente.

Chissà se la Luisa e il Michi da grandi, ricordando, canticchierano “Pa-Pa-Pa-Pa“…

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