Elitisti, populisti e il fantasma di Feisbùc

Alcuni sostengono che io passi troppo tempo su Facebook. Probabilmente è vero. Il problema è che è parecchio divertente farsi gli affari di così tanta gente con così poco sforzo.

E poi ho degli amici davvero interessanti.

Alle volte mi metto a scorrere le cose che i miei amici pubblicano su Facebook e penso “cazzo, che amici interessanti, che ho”. Dico davvero. Cliccando i video di youtube che pubblicano, leggendo quel che scrivono, guardando le foto che scattano, mi faccio delle piacevoli passeggiate nella creatività altrui, nell’illusione che possa giovare anche alla mia.

La cosa si fa particolarmente divertente quando l’accostamento di informazioni, postate per ragioni diverse e giustapposte dal caso, costruisce narrazioni apparentemente coerenti, ottimo stimolo per un bel Paolone.

Nei giorni scorsi, per esempio, qualcuno ha fatto notare quanto avesse saputo essere innovativo e sperimentale Lucio Dalla a fine anni Settanta e qualcun’altro ha postato un live dei Matia Bazar dell’era Sabbione. E io mi sono ritrovato a pensare alla musica che sa essere sperimentale e popolare insieme.

Nel frattempo è finalmente salpata la nostra nuova coraggiosa nave (mmm, forse non è un bel momento per metafore marinaresche…) e con un pugno di motivati e generosi studenti mi è capitato di discutere di architettura, partecipazione e sapere specialistico.

E così è nata questa piccola riflessione sul rapporto tra innovazione e consenso.

È un tema centrale del mio lavoro (o, almeno, io lo vivo come tale) e dell’insegnamento dell’architettura. Ed è un tema controverso. A ogni piè sospinto si incontra un tradizionalista che ti da dell’elitista e un avanguardista che ti da del populista. I giudizi affrettati si sprecano e i luoghi comuni sono più che mai affollati.

La realtà è che la storia è piena di innovatori, anche radicali, di grande successo (non necessariamente postumo). Di artisti, scienziati, professionisti che, inseguendo il proprio demone, hanno innovato il proprio campo entrando nelle vite di tutti noi. Nell’arte, nel design, nell’industria e, perché no, anche nell’architettura.

Alla fine credo sia una questione di atteggiamento o, se volete, di (secondi) fini: certe volte dichiariamo la nostra ammirazione per qualcosa che sappiamo (o pensiamo) piacere ai nostri interlocutori, e lasciamo che la nostra anima populista abbia la meglio; altre volte esibiamo conoscenze al solo fine di stupire chi (supponiamo) non le abbia, sfoderando il nostro imperituro elitismo. Ma quando siamo di buon umore, quando le cose girano nel verso giusto, saremmo pronti a buttare giù i muri solo con la voglia di raccontare quello che ci piace. E difendiamo con accanita insistenza ciò che riteniamo giusto, o bello, senza arroganza ma senza eccessi di relativismo. Questa, credo, è la cosa giusta da fare, e poi staremo a vedere.

La quadratura del cerchio potrebbe essere Casa Mia, musica di Mario Sabbione e testo di Alessandro Mendini.

p.s.: Ho passato tutto il tempo a litigare con il mio correttore automatico che cambiava elitismo con etilismo, che sia un segno?!

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