Ho messo piede per la prima volta in un’aula del Politecnico di Milano come assistente (cultore della materia, si diceva allora) nel settembre del 2002, vent’anni fa. Fu tutto un po’ un caso: l’amico Camillo che, mistificando come solo lui sa fare la realtà, mi convinse a fare un dottorato, il buon Remo Dorigati che mi coprì di insulti quando scoprì che da dottorando non collaboravo in nessun corso, e poi Matilde e Ugo (che tristezza pensare che non ci sono più) che mi diedero ospitalità e tanti amici docenti che negli anni hanno pensato che il mio contributo alla scuola potesse avere una qualche utilità.
Ho iniziato, dicevo, nel 2002 e poi non ho più smesso… Nel 2006 ho avuto la mia prima integrazione e dal 2009 conduco un laboratorio. Per molti anni ho insegnato architettura degli interni al primo anno, poi progettazione urbana (dal cucchiaio alla città, si dice) passando pure per il nostro master in housing sociale, e ora insegno progettazione architettonica. Sono stato assistente di Ugo Rivolta, di Matilde Baffa e di Stefano Guidarini. Ho insegnato con Matilde, con Laura Montedoro e con Franco Infussi, con Marco Pozzo e con Cecilia Bolognesi, con Vincenzo Gaglio e con Ettore Donadoni. Tantissimi amici ed ex studenti hanno collaborato negli anni ai corsi: Nicoletta, Marco, Cristina, Lo Svizzero, Fabio, Francesca, Alessio, Gioia, Simone, Marcello, Nicola, Cabi, Francesca e poi Alberto, Valeria, Francesca, Alessandra, Fabio, Daniela, Roberto e sicuramente qualcuno che colpevolmente sto dimenticando.
Se la matematica non mi tradisce, vuol dire qualcosa come un migliaio di studenti. Di loro, una cinquantina li ho portati in tesi, una decina almeno hanno poi lavorato con noi in studio (di cui alcuni sono ancora qui e spero ci rimarranno), qualcuno è diventato un vero amico.
È stato spesso divertente, qualche volta entusiasmante, non di rado stancante. Mi sono incavolato molte volte con la burocrazia e altrettante volte qualcuno di gentile e generoso mi ha aiutato. Ho spesso pensato che ci fosse qualcosa da raddrizzare nel modo in cui l’università coinvolge chi di noi ha fatto una scelta diversa dalla carriera accademica e poi, altrettanto spesso, ho pensato che questa era per noi una grande occasione e ho sperato lo fosse anche per i nostri studenti. Ho fatto amicizia con con molti che come me vivevano in questo mondo di mezzo di docenti in prestito.
Ho dovuto studiare, imparare a spiegare quello che penso, tenermi aggiornato, mettermi in discussione, crescere. Ho perfino insegnato in inglese. Ho fatto workshop e settimane intensive, visite e convegni. Ho preparato centinaia di slides e ci siamo inventati progetti ed esercitazioni. Abbiamo viaggiato a Barcellona, Zurigo, Losanna, Monaco, Stoccarda, Lubiana, Venezia, Bolzano e in molti altri posti dove arrivava il mitico Bus dei Viviani con i suoi pittoreschi autisti e dove ci fosse un ostello per ospitarci. Siamo anche stati a Vienna con un treno notte. Abbiamo fatto revisione sui banchi, sui muri, per terra, in cortile, per strada, sui cofani delle macchine, al bar. Digiuni, dopo un panino o sazi della cucina non proprio leggera delle trattorie della Bovisa, bevendo acqua, una birra o uno spritz. Abbiamo disegnato, scherzato, litigato. Abbiamo montato maquette, poi le abbiamo distrutte, poi le abbiamo rimontate e ci è rimasta la colla sulle dita da spelare la sera in metrò, tornando a casa esausti. Abbiamo visto computer crollare prima dei loro padroni, e vice versa. Abbiamo visto armadietti straripanti, tubi pieni di disegni, stampate improbabili che “prof, mi è uscita così”.
Abbiamo visto gruppi di lavoro soccombere e nuovi amori nascere, e poi a volte soccombere pure loro. Mi è capitato di scoprire che ci sono amicizie preziose nate in quei corsi che durano ancora oggi, e ogni volta che lo scopro mi commuovo come un cretino.
Nel frattempo la vita è andata avanti: una moglie, due figli, un dottorato, BEMaa che tiene duro e ha fatto tante cose, architetticercasi™, la Commissione per il Paesaggio, l’Ordine e adesso Torino. Nessun rimpianto, un po’ di nostalgia e ogni settembre la voglia di ricominciare: e questo settembre sono vent’anni di Polimì. Ciao ragazzi, ci vediamo in aula.
Ma chi commenta ancora i post di un blog? Lo faccio io, che sono un tipo all’antica.
Commento per dirti che condivido a pieno l’emozione che traspare dalle tue parole. Pur con una carriera molto meno lineare a luminosa della tua (lo dico con molta meno malizia di quello che potresti pensare), ho raccolto i momenti più preziosi in un’aula universitaria.
Quando uno dei miei ex-studenti congolesi, a distanza di 5 anni, usa un po’ della sua preziosa connessione dati per scrivermi un semplice “Bonjour Madame, comment allez-vous ?”, mi emoziono come di fronte all’abbraccio di un figlio. Perché, al di là degli obblighi che ci inchiodano ai nostri ruoli, sono questi piccoli riconoscimenti che danno senso alle cose che facciamo.
Certo, intanto la vita va avanti: un marito, due figli, un dottorato, 5 traslochi intercontinentali e tutte le altre piccole e grandi cose che riempiono i giorni.
Buon nuovo inizio, a te e ai tuoi studenti!