Viaggiare partire partire viaggiare

Ho sempre amato viaggiare (viaggiare partire partire viaggiare); da molto tempo riesco poco a farlo. Ho sempre sognato un lavoro che mi facesse viaggiare; e ne ho scelto uno che mi tiene col culo ben incollato a questa città.

Però, ogni tanto, riesco a convincere qualcuno che ha assoluto bisogno di me, del mio supposto sapere o della mia splendente presenza, e riesco a farmi invitare da qualche parte. Oppure riesco a convincere tutto il mondo (familiari, soci, familiarisoci, parenti, amici, studenti) della assoluta necessità di andare in qualche posto. E così riesco a partire e a viaggiare.

Per esempio, nei giorni scorsi, sono andato in giro un po’. Ho saltato anche un Paolone del lunedì. Sono stato a Vienna per qualche giorno, con la mia annuale gita scolastica, e poi sono stato a Roma, a raccontare le mie cose al locale master in housing.

 

Ora: ho un pensiero complicato che mi gira per la testa, con costanza, da un po’ di tempo e che tende ad emergere proprio quando viaggio (infatti ve ne ho già parlato qui e la). Puntuale, in questi giorni, è tornato ad affacciarsi.

È una cosa che ha a che fare con l’andare in bicicletta, l’ascoltare la musica, il fare la sauna, il mangiare all’aperto, l’ascoltare lingue che non conosco; ma anche con il non buttare le cartacce, il lavorare con cura, l’avere rispetto, il pagare le tasse. È una cosa che ha a che fare con le cose che mi piacciono, con la fatica di farle e la necessità di condividerle. È un pensiero contorto e complicato, che non credo di essere in grado di srotolare. Ma ho deciso di provarci.

 

Certe volte mi sento diverso. Non migliore, credo, ne peggiore, spero. Solo diverso. Diverso da un mondo che mi circonda e che non mi piace, diverso da un mondo che ha gusti, valori e obiettivi diversi dai miei, diverso da un mondo che Jerk Full, con parole sue, racconta così. Altre volte, invece, mi sento a casa quando a casa non sono, e questo è parecchio strano.

La cosa più surreale di questa vicenda è un immotivato e irragionevole senso di impotenza. Immotivato e irragionevole, perché ormai, anche se magari con un po’ di ritardo, ho le idee chiare su quello che voglio. E se per avere alcune cose (come, per esempio, un laghetto dove fare il bagno in città o un vicino cosmopolita) sarebbe necessaria un po’ di collaborazione da parte del mondo, per molte altre basterebbe farle. O prendersele.

Perché nessuno mi impedisce, credo, di andare a leggere un libro, in un pomeriggio di sole, seduto per terra davanti all’accademia di Brera; e, se mi va, di togliermi anche le scarpe. O di abbandonare lo scoreggiante SH e inforcare la mia amata bicicletta. O di cercare ostinatamente il posto adeguato per fare la cosa giusta.

Eppure, non è così semplice. Perché siamo animali sociali e le cose ci piace farle con gli altri. Perché certe volte è faticoso perfino perseguire il proprio interesse. Perché è dura fare sempre i salmoni contro corrente. E allora viviamo molto peggio di come vorremmo. E forse potremmo.

Poi scopri che c’è gente che fa cose straordinarie. Come un sito che calcola i percorsi in bicicletta, segnalandoti il tempo di percorrenza, i tratti pericolosi e tante altre informazioni utili. E capisci che la rete può essere un’autentica miniera di consigli, indicazioni, suggerimenti per trovare quello che si cerca. E allora decidi di provarci con rinnovata ostinazione.

Continua però a mancare la compagnia. Qui servirebbe un lavoro più complesso, eppure necessario. Una comunità, un gruppo, un consorzio civile; che si riconosce, si allea, persegue con perseveranza. No?

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