Lévi-Strauss e Leroy Merlin

Ho sempre avuto un rapporto complicato con l’università. Se, da un lato, la tensione verso la ricerca e la docenza hanno sempre fatto capolino, fin da studente, nel corso della mia vita, dall’altro la mia irrequietezza e insofferenza mi hanno spinto a lanciarmi subito nella professione, aprendo da neo-laureato (che incoscienza!) una specie di studio con alcuni amici. Nondimeno, (mal?) consigliato da un amico e coltivando la mia insanabile schizofrenia, dopo il servizio civile ho partecipato alla selezione per un Dottorato di Ricerca e roccambolescamente mi sono trovato a frequentare il mitico AUC del Politecnico di Milano (naturalmente senza smettere di lavorare, inaugurando così inconsapevolmente una molteplicità ai limiti dell’ubiquità che non mi ha più abbandonato). Ho tanti ricordi di quegli anni, alcuni non particolarmente edificanti e altri entusiasmanti, ma a conti fatti non posso non ammettere come quell’esperienza abbia influenzato sostanzialmente, seppur un po’ diagonalmente, la mia vita.

Del Dottorato ricordo con particolare interesse e affetto il corso inter-dottorato in Epistemologia della ricerca scientifica e tecnica, allora organizzato da Guido Nardi e poi a lui intitolato. Di quell’esperienza mi sono rimaste impresse molte lezioni interessanti (quella di Matteo Motterlini e quella dell’enorme Giulio Giorello, per esempio) e la tesina che svolsi con Marisa Bertoldini. Da lì in poi, un’appassionata quanto rustica e artigianale riflessione epistemologica ha sempre accompagnato il mio operare.

In particolare mi sono molto affezionato a Claude Lévi-Strauss e al suo Pensiero Selvaggio, abbastanza noto e frequentato da designer e architetti. Il suo Bricoleur è stato il (fragile) fondamento metodologico della mia tesi di dottorato e quella metafora ha poi guidato la sistematizzazione delle conoscenze che negli anni a venire ho più o meno disordinatamente accumulato.

“Il bricoleur è capace di eseguire un gran numero di compiti differenziati ma, a differenza dell’ingegnere, egli non li subordina al possesso di materie prime o di arnesi, concepiti e procurati espressamente per la realizzazione del suo progetto: il suo universo strumentale è chiuso e, per lui, la regola del gioco consiste nell’adattarsi sempre all’equipaggiamento di cui dispone, cioè ad un insieme via, via “finito” di arnesi e materiali, peraltro eterocliti, dato che la composizione di questo insieme non è in rapporto col progetto del momento, né d’altronde con nessun progetto particolare, ma è il risultato contingente di tutte le occasioni che si sono presentate di rinnovare o di arricchire lo stock o di conservarlo con i residui di costruzioni o di distruzioni precedenti. […] Il suo modo pratico di procedere è inizialmente retrospettivo: egli deve rivolgersi verso un insieme già costituito di utensili e di materiali, farne o rifarne l’inventario, e infine, soprattutto impegnare con esso una sorta di dialogo per inventariare, prima di sceglierne una, tutte le risposte che l’insieme può offrire al problema che gli vien posto.”

Claude Lévi-Strauss, 1962, La pensée sauvage, Plon, Paris, trad. Il pensiero selvaggio, Il saggiatore, Milano 1964.

Quell’idea un po’ rivoluzionaria mi è stata, come dicevo, assai utile e credo sia ancora assolutamente attuale. O, forse, attualizzabile. Provo a spiegarmi.

Occorre ricordare, infatti, che nel, frattempo, sempre all’inizio di quei favolosi anni Sessanta, la catena fondata dai coniugi Adolph Leroy e Rose Merlin a Nœux-les-Mines nel 1923 con l’insegna Au Stock Américain, inaugura il primo negozio self service, cambiando nome in Leroy Merlin. E questo fa una differenza abbastanza importante.

Negozio Leroy Merlin a Solbiate Arno (VA)

Quando Lévi-Strauss costruisce la metafora del Bricoleur, uno degli elementi cardine della figura che lui propone è il fatto che disponga di un equipaggiamento finito. Ora, chiunque abbia anche una pallida passione per il bricolage e abbia messo piede in uno di questi grandi magazzini delle meraviglie, conosce l’ebrezza – quasi la vertigine – che i suoi infiniti scaffali possono produrre. Improvvisamente, un tornio di precisione per metallo, una levigatrice orbitale, una idropulitrice sembrano oggetti indispensabili. Non riusciamo a capacitarci di come abbiamo potuto sopravvivere senza un martello demolitore e senza una smerigliatrice angolare di wattaggio adeguato. Il limite è forse la nostra capacità di spesa, anche se la globalizzazione riempie gli scaffali di oggetti di dubbia qualità ma di prezzo incredibilmente basso, ma soprattutto lo spazio a disposizione nelle nostre case e nei nostri garages.

Screenshot di Minecraft™

Se però torniamo alla metafora Straussiana, il bricoleur dell’Era dell’Informazione ha analoga pressoché infinita disponibilità di informazioni e attrezzi concettuali, anch’essi a poco prezzo e di dubbia qualità, e non ha nemmeno limiti di spazio. La mia sensazione è dunque che il Pensiero Selvaggio sia più che mai presente nelle menti e nei processi logici delle nostre Generazioni Z, ma che abbia sostanzialmente cambiato natura all’aumentare vertiginoso degli strumenti a disposizione. Guardare ai nostri figli che ragionano è come immaginare un bricoleur dal garage infinito, una specie di Mario impazzito capace di ogni cosa. Il mondo uno scenario di Minecraft dove tutto è possibile e dove la potenza strutturante del linguaggio non ha veri limiti.

Non so, forse è un abbaglio, ma a me sembra bellissimo. 

Quando ero dottorando, avevo alcuni preziosi amici che al modico prezzo di qualche birra mi supportavano in questi voli pindarici nel bricolage epistemologico… chissà se sono tra i miei lettori e se hanno ancora voglia di raddrizzare le mie pericolose chine.

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