Ne usciremo migliori?

Ecco il solito pensiero non richiesto, e come sempre un poco avventato, questa volta a partire dalla vicenda del tennista Djokovic bloccato alla frontiera (virtuale) australiana e poi forse alla fine ammesso nonostante le rigidissime regole di quel paese.

Non mi interessa qui tanto il tema vax o no vax, quanto il radicarsi dell’idea che appartenere alla élite globale dei privilegiati (che sia per merito o per nascita) conferisca una specie di lasciapassare universale rispetto alle umane tribolazioni. Stiamo parlando di quel famoso 0,1% della popolazione (quello che, per riassumere dozzinalmente i molti studi in merito, ha una ricchezza netta del nucleo famigliare superiore ai trenta milioni di dollari) che sembra sempre meno propenso a considerarsi parte del consesso civile, a rispettarne le regole e assumerne i doveri. A me sembra che questa vicenda, l’arrogante spensieratezza del post sui social che ha scatenato la polemica, la sua stessa conclusione rappresentino soprattutto questo supposto diritto a vivere al di sopra o al di fuori delle regole, più che una non meglio identificata battaglia per la libertà.

In difesa del tennista, molti hanno richiamato la donazione di (pare) un milione di euro che con la sua famiglia ha fatto alla ATS di Treviglio nell’aprile 2020. Certo, se parametriamo la cifra alla ricchezza netta (sicuramente meritatissima) del tennista, la grandezza del numero si ridimensiona un poco, ma si tratta comunque di un gesto generoso e – anche solo perché non è scontato che chi può lo faccia – non si può che essergliene grati. Nondimeno personalmente rimango affezionato all’idea che il trasferimento di risorse da chi ha molto (o moltissimo) alla società nel suo complesso possa e debba avvenire attraverso la tassazione (progressiva, giusta, universale) e non sulla base di estemporanei gesti di volontaria generosità. Lo so, anche in questo sono un po’ all’antica. A proposito: naturalmente Novak Djokovic vive a Montecarlo e le tasse (non) le paga nel principato, e non nella Grande Serbia di cui il padre lo ritiene un alfiere.

Ho trovato interessante questa vicenda perché mi sembra condensare un aspetto particolarmente triste e inquietante di questi due anni di pandemia. Le quarantene e il confinamento in casa e la conseguente necessità di un’abitazione adeguata, la fragilità del welfare pubblico e la necessità di sopperire alle sue mancanze con reti e risorse private, la confusione delle norme e l’incertezza dei governi cui risulta sempre più difficile affidarsi serenamente e con fiducia, stanno a mio modesto parere ingigantendo le disuguaglianze, invero già in vertiginosa crescita, nelle società contemporanee. Diseguaglianze tra classi (si possono ancora chiamare così?) e tra interi paesi e popolazioni.

E per fortuna che dovevamo uscirne migliori.

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