È sempre importante celebrare con adeguata cura gli anniversari: è un modo per conservare la memoria delle cose, per condividere valori e per costruire identità. In questa prima metà del 2012, per esempio, ricorrono i vent’anni dall’uscita di Hanno ucciso l’Uomo Ragno, pietra miliare dell’italica musica Pop. Per celebrarlo, Max Pezzali è uscito con un nuovo disco, dall’originale titolo “Hanno ucciso l’Uomo Ragno 2012”.
Ho trascorro il capodanno ’91-’92 con alcuni amici storici in un paesino con vista sul Lago di Como. Alla festicciola c’era un’unica invitata che non conoscevamo, amica d’infanzia della padrona di casa. Fù colpo di fulmine e ne nacque una burrascosa relazione destinata a durare lo spazio di una primavera. Quando, sei mesi dopo, la suddetta tentava di argomentare le ragioni dell’imminente separazione, invece di elencarmi i fidanzati a me contemporanei (che sarebbe stato argomento oltremodo convincente) mi disse che la nostra incompatibilità era resa evidente dal fatto che a lei piacevano gli 883. Come dire: a te non piaceranno mai, quindi io e te non abbiamo nulla da condividere. Aveva ragione: gli 883 non mi sarebbero mai piaciuti. Quanto a noi due, successive vicissitudini hanno, credo, certificato la totale incompatibilità.
Gli 883, in effetti, non sono mai riuscito ad ascoltarli, ma ho seguito nel tempo, da lontano ma con attenzione, le gesta del cantautore Pavese. Sono, infatti, sempre stato affascinato, non sorprendetevi, dai testi delle sue canzoni. Già, perché, secondo il mio modestissimo parere, se le musiche degli 883 e del successivo Pezzali solista sono piuttosto banali e sciatte, i testi hanno qualcosa di estremamente intrigante.
Hanno una capacità straordinaria di raccontare senza orpelli la quotidianità di una generazione, di spogliare di ogni retorica le osservazioni sulle relazioni umane, di riportare con disincantata affezione le dinamiche sociali di tutti i giorni.
Insomma, potremmo considerare Pezzali un Bret Easton Ellis della Bassa Padana, un Jay McInerney meneghino, un David Leavitt eterosessuale. Troppo ardito, dite? Eppure dalla penna di quell’uomo sono uscite frasi memorabili.
Io non capisco che gli fai quando arrivi in mezzo a noi tutti i miei amici si dileguano e vengon lì prendon posto accanto a te accanto ai tuoi capelli che hanno quel profumo è il balsamo o sei tu che emani tutti qui ci provano aspettano un tuo segno e intanto sperano che dal tuo essere amica nasca cosa però non si ricordano il principio naturale che la regola dell’amico non sbaglia mai se sei amico di una donna non ci combinerai mai niente mai “non vorrai rovinare un così bel rapporto”.
Non avrete la faccia tosta di negare il dirompente realismo di tutto questo? Di negare di aver tentato anche voi l’impervia strada dell’amicizia a secondo fine, per poi scontrarvi con l’ineluttabilità della regola di Max? E che dire dei testi di Non me la menare, o di La dura legge del goal, di Sei un mito: veri manuali di sopravvivenza urbana, romanzi di formazione in formato haiku.
Certo, direte voi, la sintassi non è mai stato il suo forte, la consecutio temporum è per lui un accessorio rinunciabile, l’ampiezza del vocabolario è di tipo prepuberale. Ma, come vi risponderebbe Max, chi se ne frega se “non son capace neanche di parlare di quegli argomenti da laureati di cui parlan sempre tutti i tuoi amici sfigati”. Qui si tratta di raccontare la vita vera, non c’è spazio per sofismi.
Non so se vi ho convinto, comunque vi saluto riportando lo straordinario testo di “Sempre noi”, unico inedito del nuovo album di Pezzali, esempio folgorante di quanto sopra argomentato:
Novantadue rullini Kodak pieni di fotografie. Alcuni non li abbiamo sviluppati mai, perché non siamo mai arrivati a trentasei. Serate al bar: donne, motori, Calcio, birra e Musica. Il Rock, il Rap e la voglia d’America, il colpo di fortuna che non capita… o capita, capita. E i nostri amici tutti a fare il tifo… “Chi l’aveva vista mai una storia così?!” e Cisco che rideva… “…Che delirio! Cazzo avete combinato?!”.
Sempre noi, a far casino e sempre noi… tutti o nessuno, sempre noi… senza imparare la lezione mai.
E la mia Golf, con il volante MOMO era invincibile ed il subwoofer che sembrava esplodere. Stivali da cowboy un po’ da Renegade, Renegade, Renegade… Il MicroTAC… un paio d’ore d’autonomia massima, i 501 a vita altissima: ogni giornata sembrava bellissima, unica, mitica. E Milano era più vicina, perché adesso c’era posto anche per noi anche se a guardarci si capiva, che proprio non c’entravamo.
Sempre noi, a far casino e sempre noi… tutti o nessuno, sempre noi… senza imparare la lezione mai.
Sempre Noi: Supereroi, Super Nintendo, Super Mario Bros. È Austin Powers il nostro James Bond! Sempre Noi, che del Web abbiamo visto l’alba, i nonni con la zappa, noi col Modem-56k. Il nastro del Walkman mi dava l’energia, riavvolto con la penna risparmiavo batteria e quelli che credono ancora a un futuro a colori siamo sempre noi, perché abbiamo i ricordi in bianco e nero, come il GAME BOY™. Un battito, vent’anni son volati via in un attimo: ricordi ed emozioni che riaffiorano, però sempre memorie poi rimangono… dormono, dormono. E non c’è niente da rinnegare, ciò che è stato è stato, è tutto giusto così! Però adesso bisogna andare, che di strada ce n’è ancora.
Sempre noi, a far casino e sempre noi… tutti o nessuno, sempre noi… senza imparare la lezione mai.
Sempre Noi! Rimasti veri come il Wrestling di Antonio Inoki… e non abbiamo lasciato morire i sogni, solo il Tamagotchi.
Insomma, tristemente conscio di non poter essere il pornografo del vostro grammofono, temendo piuttosto di essere la Guia Soncini dei vostri mattini, la chiuderei con soddisfazione accontentandomi di essere il Max Pezzali dei vostri ricordi adolescenziali.